VERIFICA FISCALE: ESIBIZIONE DEI DOCUMENTI E LA LORO UTILIZZABILITA' IN FASE CONTENZIOSA
ARTICOLO - Pubblicato il: 16 novembre 2011 - Da: G. Manzana E. Iori
L’inottemperanza agli inviti e delle richieste dell’amministrazione finanziaria determina a sfavore del contribuente sottoposto all’esercizio legittimo del potere attribuito all’Ufficio situazioni di varia natura.
In primo luogo gli ultimi due commi dell’art. 32, D.P.R. 600/1973 ai fini delle dirette e il comma 5 del Dpr 633/1972 ai fini Iva, si riferiscono alla categoria della inutilizzabilità. L’inutilizzabilità della prova si risolve nel dovere di non considerare a favore del contribuente ed ai fini dell’accertamento, sia in sede amministrativa sia in sede contenziosa, notizie e dati non addotti e atti, documenti, libri e registri non esibiti o non trasmessi (ai fini iva il riferimento è ai libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione).
Art. 32 del dpr 600/1972
(…)
Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l'ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta.
Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile.
Art. art. 52, comma 5, del Dpr 633/1972
(…)
5 - I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione.
In secondo luogo, il comma 2 l’art. 39, D.P.R. 600/1973 prevede il dovere di adottare il tipo di accertamento induttivo in conseguenza dell’inottemperanza a taluni degli inviti disposti dagli Uffici.
Art. 39, comma 2 del dpr 600/1972
In deroga alle disposizioni del comma precedente l'ufficio delle imposte determina il reddito d'impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma: (…)
c) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell'art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all'ispezione una o più scritture contabili prescritte dall'art. 14, ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore; (…)
d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell'articolo 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell'articolo 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
Le disposizioni dei commi precedenti valgono, in quanto applicabili, anche per i redditi delle imprese minori e per quelli derivanti dall'esercizio di arti e professioni, con riferimento alle scritture contabili rispettivamente indicate negli artt. 18 e 19. Il reddito d'impresa dei soggetti indicati nel quarto comma dell'art. 18, che non hanno provveduto agli adempimenti contabili di cui ai precedenti commi dello stesso articolo, è determinato in ogni caso ai sensi del secondo comma del presente articolo.
In terzo luogo, l’art. 11, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 sanziona espressamente le inottemperanze alle legittime richieste fatte dagli Uffici nell’esercizio dei poteri a loro conferiti.
Il complesso delle discipline richiamate può incidere dunque sull’esercizio del diritto di difesa e può condurre a sanzionare scelte e valutazioni ispirate ad esigenze difensive o comunque a queste correlate.
Da ultimo, e non per ordine di importanza, l’art. 10, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 prevede un’ipotesi di responsabilità penale in caso di occultamento o distruzione di documenti o scritture contabili di cui sia obbligatoria la conservazione, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire a terzi l’evasione, in modo da impedire la ricostruzione del reddito o del volume d’affari.
I limiti nell’utilizzo della documentazione
L’art. 32 del Dpr 600/1972, ai fini dell’imposizione diretta, afferma che «(…) Le notizie ed i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa. Di ciò l'ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta.
Le cause di inutilizzabilità previste dal terzo comma non operano nei confronti del contribuente che depositi in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile».
Tali commi sono stati aggiunti al testo dell’art. 32 dall’art. 25, comma 1 della L. 18 febbraio 1999, n. 28, con effetto dal 9 marzo 1999.
La preclusione dell'utilizzo dei documenti a favore del contribuente è condizionata a quattro elementi:
1) che l'ufficio informi il contribuente, contestualmente alla richiesta di dati, notizie, eccetera, delle preclusioni che scatterebbero a suo sfavore in caso di mancata esibizione documentale;
2) che l'ufficio individui i documenti ritenuti rilevanti ai fini dell'accertamento e li richieda espressamente al contribuente;
3) che il contribuente non produca, insieme al ricorso in primo grado, quanto richiesto dall'ufficio;
4) che sia data prova, da parte del contribuente-ricorrente in primo grado, della impossibilità di adempiere alle richieste dell'ufficio per causa a lui non imputabile.
Secondo la Corte di Cassazione, la preclusione è rilevabile d’ufficio, a prescindere da una formale eccezione di parte, l’inutilizzabilità anche in sede giudiziaria della documentazione non esibita dal contribuente all’Amministrazione finanziaria che ne abbia fatta richiesta (Fra le varie, Cass., Sez. trib., Sent. 26 maggio 2008, n. 13511).
Come si avrà modo di evidenziare anche nel prosieguo, rispetto alla norma similare previsto nel testo Iva (art. 52, comma 5, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) la disposizione in parola sembra più pesante per il contribuente. Raffrontando infatti l'art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 con l’ art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 si nota che la prima norma ha come presupposto applicativo il rifiuto di esibizione, mentre la seconda prevede la mera mancata esibizione.
Il primo elemento evidenziato, vale a dire l’informazione a carico dell’ufficio, è figlio del nuovo rapporto “collaborativo” che deve sussistere tra amministrazione finanziaria e contribuente individuato nell’ambito dello statuto del contribuente.
L’informativa posta a carico dell’Agenzia delle entrate
L’art. 32, D.P.R. 600/1973 impone all’Ufficio di indicare il motivo dell’invito. Ciò significa che l’atto istruttorio deve essere specificamente motivato quanto alla rilevanza della richiesta istruttoria.
La richiesta, con riferimento all’oggetto specificato (dato, notizia, documento, ecc.), deve subire un giudizio di rilevanza, vale a dire un giudizio (preventivo) sull’utilità della prova in ordine all’accertamento dei fatti che fondano la pretesa dell’Amministrazione (Sul giudizio di rilevanza è da richiamare lo sviluppo della dottrina processualistica: Taruffo, Studi sulla rilevanza della prova, Padova 1970, pag. 249 (per il quale «è rilevante ogni prova vertente su di una proposizione fattuale che, assunta per ipotesi come vera, può costituire elemento di conferma logica della proposizione descrittiva del factum probandum»).
Il dovere di informare il contribuente previsto dall’art. 32, co. 4, seconda parte, D.P.R. 600/1973, non si esaurisce nella mera riproduzione della disposizione di legge. L’Ufficio ha il dovere di correlare l’informazione contestuale al contenuto degli inviti.
L’informazione contestuale deve, in ogni caso, comprendere anche il contenuto del comma 5 dello stesso articolo, posto che il contribuente deve essere informato della situazione di inutilizzabilità nella sua completezza (e perciò anche delle possibili cause di inoperatività).
L’art. 6, co. 2, L. 27 luglio 2000, n. 212 [CFF 7120f], dispone il dovere dell’Amministrazione di informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza da cui possa derivare l’irrogazione di una sanzione: un tale principio non può che orientare verso l’accoglimento di un’interpretazione della norma in esame rispettosa dell’esigenza di fornire in concreto la più ampia tutela al destinatario (Per un richiamo agli artt. 5, 6 e 7, L. 212/2000 [CFF 7120e – 7120g] v. Cass. Civ., Sez. V, 4 aprile 2008, n. 8781).
La richiesta deve poi essere determinata e specifica (Cfr. Lupi, Manuale, cit., pag. 448; si tratta di un obbligo a carattere generale: v. A. Scognamiglio, Il diritto di difesa nel procedimento amministrativo, Milano 2004, pagg. 219 e segg.; sulla indicazione della norma di legge al quale vien fatto riferimento cfr. Cass. Civ., Sez. V, 4 aprile 2008, n. 8781). Non potrebbe invero considerarsi legittima una richiesta non specificamente rivolta ad ottenere determinate notizie, dati, documenti, libri e così via.
L’art. 6, co. 2, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 [CFF 9469] dichiara una causa di non punibilità in ragione della indeterminatezza delle richieste di informazioni, ed il principio pare invocabile alla situazione di specie. L’art. 32, D.P.R. 600/1973 tipizza la «non imputabilità» della causa quale elemento, unitamente ad altri, idoneo a rendere non operativa la condizione di inutilizzabilità. È da ricordare che è richiesto, tra l’altro, «il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento» (Cass. Civ., SS. UU., 25 febbraio 2000, n. 45. Cfr. anche Tosi, «Riflessi amministrativi e penali del “rifiuto di esibizione” di cui all’art. 52 del D.P.R. n. 633 del 1972», in Riv. Dir. Trib., 1991, II, pagg. 475 e segg.).
Il secondo elemento evidenziato, vale a dire l’individuazione dei documenti, riveste particolare importanza in quanto circoscrive gli effetti preclusivi a carico del contribuente ai documenti espressamente individuati e richiesti dall'organo accertatore e non esibiti dal contribuente. Sul punto va rilevato che la norma, se da una parte è chiara nel limitare la riduzione degli elementi probatori a favore del contribuente ai documenti richiesti e non esibiti (infatti anche l'ultimo comma dell'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973 riconduce la dichiarazione di impossibilità oggettiva alla produzione documentale alle richieste degli uffici), dall'altra è meno chiara se si riferisca solo agli atti, documenti, libri e registri o anche alle notizie e ai dati. Il primo dei due commi aggiunti dall'art. 25 della L. n. 28/1999 infatti è formulato sotto questo profilo in modo ambiguo. Si potrebbe ritenere che la norma vada, anche per ragioni sistematiche, interpretata nel senso che anche i dati e le notizie non forniti all'Amministrazione saranno preclusi alla difesa del contribuente solo se previamente individuati e richiesti dall'organo accertatore. Una diversa interpretazione finirebbe per rendere il contenzioso una guerra del tutto incerta sulla ammissibilità degli elementi di prova.
Quanto precede evidenziano in maniera chiara che la condotta sanzionata dall'ordinamento è soltanto quella sleale del contribuente, quella cioè consistente nel deliberato occultamento di ciò che era stato richiesto dall'Amministrazione, che il contribuente stesso possedeva e che ha volutamente taciuto o non fornito.
In ogni caso la richiesta deve essere chiara. Un punto indiscusso nella giurisprudenza della Corte di Cassazione è rappresentato dalla necessaria soggezione della preclusione a richieste di produzione documentali «specifiche», formulate in modo da evitare qualsiasi incertezza e confusione in capo al contribuente circa i documenti da esibire. In altri termini, un’esternazione equivoca o imprecisa non si traduce in un’inottemperanza del contribuente, che può dunque utilizzare a proprio favore in giudizio documenti che non abbia esibito ai verificatori (Ex pluribus, Cass., Sez. trib., Sent. 25 gennaio 2010, n. 1344; id. 28 ottobre 2009, n. 22765; id. 19 aprile 2006, n. 9127).
Si ricorda, anche, che a mente dell’art. 6 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 27 luglio 2000, n. 212, allo stesso:
- «non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti ed informazioni già in possesso dell’Amministrazione finanziaria o di altre Amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente»;
- «tali documenti ed informazioni sono acquisiti ai sensi dell’art. 18, co. 2 e 3, L. 7 agosto 1990, n. 241, relativi ai casi di accertamento d’ufficio di fatti, stati e qualità del soggetto interessato dalla azione amministrativa».
L’operatività della preclusione riguarda anche i documenti extracontabili?
L’art. 52, co. 5, D.P.R. 633/1972, non consente di discriminare l’operatività della preclusione a seconda della tipologia di documentazione, «contabile» o «extracontabile», richiesta in sede d’accesso. Infatti, anche quella extracontabile è sottoposta, a norma dell’art. 22, D.P.R. 600/1973, ad obblighi di conservazione analogamente alle scritture contabili obbligatorie.
Inoltre, lo stesso art. 52, co. 4, prevede la possibilità di estendere l’ispezione documentale a tutti i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei locali in cui si esercita l’attività, «compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie» (Sul punto, si vedano le puntuali indicazioni della circolare n. 1/2008 della Guardia di finanza, «Istruzioni sull’attività di verifica», parte II, cap. 3, par. 2, in www.gdf.it).
La tipologia di documentazione oggetto di rifiuto, quindi, non è idonea ad influenzare, in linea di principio, l’applicazione della preclusione (Cfr., fra le varie, Cass., Sez. trib., Sent. 29 dicembre 2009, n. 27556, secondo cui la preclusione è applicabile anche ai casi in cui la «tenuta e conservazione» della documentazione «non sia obbligatoria») anche se, sotto il profilo squisitamente operativo, occorre svolgere alcune precisazioni.
Infatti, mentre con riferimento alla documentazione obbligatoria, l’Amministrazione finanziaria è in grado di formulare, già in sede d’accesso, una «specifica richiesta» al contribuente, poiché la stessa è preventivamente individuabile in base alla natura, all’attività ed al volume d’affari del soggetto ispezionato, non altrettanto può dirsi per quella extracontabile, che verrà riscontrata, ad probationem o ad substantiam, solo se effettivamente esistente.
Tale considerazione è colta, incidentalmente, anche in un passaggio della sentenza 19 aprile
2006, n. 9127, in cui la Suprema Corte ha affermato che «è ovvio come simile procedura di “richiesta” o “ricerca” da parte dell’Amministrazione e di rifiuto (o occultamento) da parte del contribuente sia in concreto concepibile quasi esclusivamente in riferimento ai documenti di cui è obbligatoria la tenuta».
Infatti, la predisposizione di documentazione extracontabile può essere accertata, solitamente,
a seguito di una preliminare ispezione sugli accadimenti aziendali che trovano riflesso nelle scritture contabili, attività che viene compiuta nelle fasi successive all’accesso, durante le quali non si potrà opporre la preclusione del comma 5 dell’art. 52.
Sotto una diversa angolatura, però, la causa preclusiva potrebbe tornare applicabile qualora, in sede d’accesso, l’Amministrazione disponga, ex ante, di elementi conoscitivi circa l’esistenza di tale documentazione, (Per esempio, in base a risultanze ispettive comunicate all’Ufficio operante da parte di un altro Ufficio) tali da consentirle di formulare un’esplicita ed adeguata richiesta. Le istruzioni della circolare n. 1/2008 della Guardia di finanza, in merito, sono improntate a criteri di chiarezza e trasparenza, dato che mirano ad evitare l’insorgere di richieste e risposte equivoche.
Infatti, in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale, all’atto dell’accesso i verificatori devono avanzare al contribuente esplicita richiesta, debitamente formalizzata nel processo verbale compilato e connotata da un sufficiente grado di analiticità, di esibizione dei documenti contabili obbligatoriamente detenuti ed eventualmente, in relazione a specifiche esigenze ispettive maturate sulla base degli elementi già in possesso, di particolari documenti «extracontabili», rappresentando formalmente tutte le conseguenze in caso di rifiuto.
Inoltre, gli stessi devono dare precisa e dettagliata contezza, nel verbale, del rifiuto, della dichiarazione di non possedere, dell’occultamento o della sottrazione, ponendo «particolare attenzione e scrupolo a che detti comportamenti siano chiaramente riferibili a singoli documenti o scritture e provengano da un soggetto legittimato, da identificarsi endenzialmente
nel contribuente sottoposto a controllo o nel suo rappresentante».
Le conseguenze sanzionatorie sono valide anche nel caso in cui il contribuente adotti le disposizioni in materia di fattura elettronica e conservazione delle scritture contabili e della restante documentazione rilevante ai fini dell’accertamento su supporti informatici.
(Si rinvia, per ragioni di spazio, alle indicazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate nelle CC.MM. 19 ottobre 2005, n. 45/E e 6 dicembre 2006, n. 36/E, nonché al commento della circolare n. 1/2008 della Guardia di finanza, cit., parte III, cap. 4, par. 2)
Particolari considerazioni sono riconducibili all’accesso effettuato nei confronti dei professionisti, i quali, a mente del comma 3 dell’art. 52, D.P.R. 633/1972 possono opporre, al ricorrere di determinati presupposti, (Diffusamente commentati nella circolare n. 1/2008 della Guardia di finanza, cit., parte II, cap. 3, par. 2.) il segreto professionale, superabile in virtù dell’autorizzazione concessa dall’Autorità giudiziaria. Di fronte ad un’eccezione mossa in tal senso dal professionista, i verificatori, ove non ostino diverse esigenze, potrebbero però rinunciare ad attivarsi per il suo superamento e non prendere, quindi, visione dei documenti.
Se, in sede contenziosa, il contribuente ritenesse di volere produrre tale documentazione a proprio supporto, si potrà vagliare se, effettivamente, sussistessero le ragioni a fondamento del segreto. Qualora si manifesti l’assenza completa delle stesse e, quindi, il professionista l’avesse eccepito in chiave del tutto pretestuosa, abusando di un suo diritto, si ritiene valida la copertura della preclusione del comma 5 dell’art. 52, non dovendosi prendere in considerazione da parte dei giudici tributari i documenti successivamente esibiti dal contribuente in giudizio.
Quanto alla terza circostanza, vale a dire la mancata produzione della documentazione in giudizio, si osserva che giustamente il legislatore ha considerato sanata la mancata esibizione nella misura in cui il giudizio in Commissione tributaria, con la produzione di quanto aveva richiesto l'ufficio, inizi in modo equo ed equilibrato: la sede contenziosa - come è noto - è del resto stata concepita dal legislatore del D.Lgs. n. 546/1992 come il luogo dell'appuramento della verità sostanziale.
Tuttavia - passando alla quarta circostanza, vale a dire che sia data prova da parte del contribuente dell’impossibilità di adempiere alle richieste dell'ufficio per causa a lui non imputabile, il legislatore, consapevole delle conseguenze che la mancata esibizione può avere prodotto sull'operato degli organi di accertamento, ha subordinato la sanatoria delle preclusioni alla allegazione da parte del ricorrente di non aver potuto adempiere alle richieste dell'ufficio per causa a lui non imputabile. Anche in questo caso, per non giungere a conseguenze aberranti, occorre in sede interpretativa non fermarsi alla lettera della legge. In altri termini non si può ritenere sufficiente una mera dichiarazione di parte, fatta peraltro in una sede processuale dove ogni assunto di parte deve essere provato. Si deve cioè ritenere che le preclusioni in discorso siano sanate solo se il contribuente produca quanto richiesto dall'ufficio nella fase introduttiva del giudizio, provando contestualmente di non aver potuto esibire tali atti o documenti in sede amministrativa per causa a lui non imputabile.
In virtù di tale disposizione, la normativa in parola si avvicina a quella dell'art. 52 del testo Iva. Infatti, alla luce dell’ultimo comma dell'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, la sanatoria delle preclusioni si ha quando viene provato che la condotta omissiva del contribuente non è volontaria, dipendendo da una causa a lui non imputabile. Al di là di questa ipotesi, la mancata esibizione colpevole coincide con il rifiuto previsto dall'art. 52 del testo Iva. Pertanto, se si rifiuta l'esibizione, il mancato utilizzo dei dati occultati in senso favorevole al contribuente non è suscettibile di sanatoria. Se invece non si esibisce per causa indipendente dalla volontà del contribuente, la preclusione consistente nell'utilizzabilità dei dati non comunicati all'Amministrazione si sana con la produzione in sede contenziosa, accompagnata dalla prova della causa ostativa all'esibizione.
Ai fini Iva, l’art. 52, co. 5, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, afferma che «i libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto si intendono anche la dichiarazione di non possedere libri, registri documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione».
Da quanto sopra specificato si evince, pertanto, che il rifiuto di esibire la documentazione comporta conseguenze sul piano probatorio, in quanto ciò che il contribuente non ha prodotto in sede di indagine amministrativa, non potrà poi essere utilizzato né nel prosieguo dell’indagine stessa e nemmeno nella fase contenziosa.
Sull’applicabilità di tale norma, va detto che la stessa sembrerebbe attuabile nelle ipotesi in cui effettivamente sia configurabile un rifiuto, ovvero un atteggiamento da parte del contribuente intenzionalmente volto ad occultare o sottrarre all’attività di controllo da parte degli ufficiali la documentazione richiesta.
In sostanza, sembrerebbero essenziali per il concretizzarsi della fattispecie in esame:
- l’elemento oggettivo costituito dalla mancata esibizione dei documenti;
- l’elemento soggettivo rinvenibile nella volontà del contribuente di impedire il controllo delle scritture contabili.
L’elemento controverso sull’interpretazione della norma in questione ruota, tuttavia, attorno al secondo elemento qui citato. In pratica, ciò che va chiarito è se l’elemento soggettivo rilevi solo nel momento in cui ci sia, da parte del contribuente il cosiddetto «dolo», ossia la specifica volontà di impedire l’ispezione di quella determinata documentazione, o basti la semplice colpa (magari anche non grave) per integrare la fattispecie richiesta dalla norma.
In realtà, l’ambito e le modalità pratiche di applicazione dell’articolo in questione sono allo stato attuale, tutt’altro che chiare, complice anche una giurisprudenza di Cassazione non univoca e foriera di numerosi dubbi applicativi.
Art. 52, co. 5, D.P.R. 633/1972
Elemento oggettivo
Mancata esibizione di libri, registri, scritture e documenti obbligatori all’atto della richiesta da parte degli organi verificatori
Elemento soggettivo
«Rifiuto» riconducibile alla volontarietà della condotta, con conseguente impossibilità da parte degli organi verificatori di porre in essere l’attività di controllo
Dolo (elemento soggettivo «forte»): comportamento cosciente e volontario del contribuente che volutamente sottrae od occulta la documentazione al fine di impedire l’attività di verifica
Colpa (elemento soggettivo «debole»): qualsiasi errore non scusabile di diritto o di fatto riconducibile a dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.
In merito ai due disposti normativi sopra richiamati va detto che:
- la disciplina dei poteri in materia di Iva, all’art. 51, co. 5, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 rinvia all’art. 32, D.P.R. 600/1973,
- la disciplina dei poteri ai fini dell’imposizione diretta, all’art. 33, co. 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 rinvia all’art. 52, D.P.R. 633/1972.
Sul punto è, tuttavia, opportuno segnalare che sussistono orientamenti difformi da parte della giurisprudenza della Corte di Cassazione. In particolare per quanto concerne l’estensione della norma Iva ai fini delle dirette. A tale proposito si segnala la sentenza dell’8 agosto 2003, n. 11981 con cui i Supremi giudici hanno precisato che il disposto di cui all’art. 52, co. 5, D.P.R. 633/1972 non può essere esteso in via analogica all’imposizione diretta, in quanto norma specificatamente istituita per l’Iva e che, a confutazione di ciò, non può essere considerato un richiamo recettizio quello effettuato dall’art. 33, co. 1, D.P.R. 600/1973.
D’altro canto, la sentenza della Corte di Cassazione, 14 aprile 2006, n. 9127 disattende il contenuto di quella sopra indicata, invocando l’applicazione della suddetta norma genericamente nell’ambito del reddito d’impresa, proprio in virtù del richiamo specifico di cui all’art. 33, co. 1, D.P.R. 600/1973.
In merito a tali argomenti un riferimento di prassi di particolare rilievo è rinvenibile è contenuto nella C.M. 5 dicembre 2000, n. 224/MF al paragrafo 5.1., che seppur con specifico riferimento ad altra fattispecie, ha avuto modo di riprendere la questione sull’applicazione dell’art. 52, D.P.R. 633/1972 ex comma 4, ora comma 5.
La circolare in questione dapprima chiarisce che «perché possa configurarsi il rifiuto di esibizione non basta che l’eventuale risposta negativa alla richiesta provenga da commessi, segretari o impiegati senza poteri di rappresentanza, occorre, invece, che tale rifiuto sia manifestato o dal titolare o dal rappresentante legale del soggetto verificato o, quantomeno, dal direttore del locale».
Successivamente, va sottolineato come rimanga francamente poco chiara l’ulteriore affermazione contenuta nella circolare, che qui si riporta integralmente: «Inoltre, non va attribuita rilevanza alla tardiva esibizione della documentazione, dovuta alla temporanea indisponibilità della stessa per causa di forza maggiore o anche per colpa del contribuente o del depositario cui si è prontamente posto rimedio. Al riguardo va, infatti, evidenziato che la Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza 25 febbraio 2000, n. 45 resa a Sezioni Unite, ha statuito che, ai fini della configurazione del rifiuto, è necessario un comportamento doloso da parte del contribuente, costituito dalla volontà di impedire che, nel corso della verifica, sia esaminato il documento».
In sostanza, va evidenziato come la C.M. 224/MF/2000 in questione:
- da un lato, ritenga che sia applicabile il divieto di successivo utilizzo della documentazione non prontamente esibita, pure in caso di forza maggiore o di colpa del contribuente anche qualora si sia prontamente posto rimedio;
- dall’altro, richiama la sentenza della Corte di Cassazione n. 45/2000, la quale invece individua – quale elemento di fondamentale importanza nell’applicazione della disposizione in esame – il dolo, ossia la specifica volontà del contribuente di impedire l’ispezione di quella determinata documentazione.
Di tale avviso anche la circolare n. 1/2008 della Guardia di finanza, secondo al quale il «prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità» tende a disapplicare le sfavorevoli conseguenze «per i documenti la cui tardiva esibizione non derivi da un espresso rifiuto, bensì da una situazione di temporanea indisponibilità degli stessi per forza maggiore od altra causa non imputabile al contribuente oppure imputabile a sua mera colpa».
Ai fini giurisprudenziali, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, stante l’evidente contrasto giurisprudenziale esistente sul punto, già con la sent. n. 45 del 25 febbraio 2000, hanno definitivamente chiarito che il non possesso della documentazione all’atto dell’accesso dovuto a colpa non scusabile non comporta l’applicazione della preclusione in argomento in quanto è necessaria la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo e, quindi, dell’univoca intenzionalità del contribuente di sottrarre all’ispezione una specifica documentazione, arrecando, in tal modo, un vulnus al bene giuridico protetto dalla disposizione normativa di cui al comma 5 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972. Pertanto, la richiamata pronuncia risolve il punctum dolens relativamente alla questione se l’applicazione della regola in esame richieda, oltre la coscienza e la volontà dell’omessa esibizione, anche il dolo, ovvero sia sufficiente la mera omessa esibizione determinata da colpa scusabile.
In conclusione, in ragione di quanto affermato dalle Sezioni Unite, l’ipotesi del “rifiuto dell’esibizione” è, per definizione, “dolosa”, così come lo è quella di sottrazione della documentazione, di modo che, ai fini della sua perfezione e dell’applicabilità della sanzione esige, oltre che la coscienza e la volontà del rifiuto, l’intenzione del contribuente di impedire che l’accertatore proceda, in sede e nel corso dell’accesso, all’ispezione del documento.
In particolar modo, è stato sentenziato che per il verificarsi del divieto occorre:
1) l’elemento oggettivo dell’illecito; nella norma, quale componente oggettiva della fattispecie astratta contemplata, emergono «non già tre comportamenti materiali del contribuente intrinsecamente ed ontologicamente distinti tra loro», ma uno solo, rappresentato dal rifiuto di esibizione, del quale la dichiarazione di non possedere e la sottrazione dei documenti sono soltanto «forme sintomatiche per legge» del rifiuto medesimo. Di conseguenza, a prescindere dalle forme e dalle modalità con cui tale comportamento è realizzato, l’elemento oggettivo della fattispecie è rappresentato comunque dal «rifiuto»;
2) la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa; ai fini dell’operatività della disposizione devono ricorrere anche la coscienza e la volontà del comportamento integrante l’elemento oggettivo (in quanto quest’ultimo, pur necessario, non è da solo sufficiente);
3) il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che nel corso dell’accesso possa essere effettuata l’ispezione del documento. In altre parole occorre che vi sia il concorso dell’elemento soggettivo dell’illecito, rappresentato dal «dolo». Ciò è desumibile dal contenuto letterale della norma stessa, la quale richiede l’intenzionalità e la volontà dell’evento. Pertanto, la preclusione non opera non solo quando la dichiarazione di indisponibilità del documento sia riconducibile a forza maggiore o caso fortuito, ma anche quando sia imputabile a colpa (negligenza, imprudenza o imperizia) nella custodia e conservazione.
Pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione, le dichiarazioni (il cui contenuto corrisponda al vero) dell’indisponibilità del documento, non solo se:
- l’indisponibilità sia ascrivibile a forza maggiore o a caso fortuito (ad esempio, documentazione rubata, smarrita o temporaneamente dispersa per calamità naturali e poi rinvenuta, sequestrata e poi rimessa nella disponibilità del contribuente), ma anche se
- imputabile a colpa, quale, ad esempio, la negligenza e l’imperizia nella custodia e conservazione.
Tale pronuncia sembrava avere circoscritto entro parametri rigidi, maggiormente garantisti, la portata della norma e risolto, conseguentemente, il contrasto all’epoca esistente.
Con la sentenza della Corte di Cassazione, 28 ottobre 2009, n. 22765, invece, si assiste ad un deciso cambio di tendenza rispetto a quanto delineato nella precedente pronuncia a Sezioni Unite, n. 45/2000.
Tale cambiamento non è tuttavia una novità in quanto, già precedentemente, la Corte di Cassazione nella sentenza 26 marzo 2009, n. 7269 aveva avuto modo di preannunciare un nuovo orientamento sulla questione.
In sostanza, viene chiarito che «il divieto di utilizzare documenti scatti non solo nell’ipotesi di rifiuto (per definizione doloso) dell’esibizione, ma anche nel caso in cui il contribuente dichiari, contrariamente al vero di non possedere, o sottragga all’ispezione i documenti in suo possesso ancorché non al deliberato scopo di impedirne la verifica, ma per errore non scusabile di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, per colpa (Corte di Cassazione 26 marzo 2009, n. 7269)».
Il cambiamento è decisamente evidente, essendo, in sostanza, sufficiente la «sola colpa» per far scattare quella sorta di sanzione indiretta stabilita dal richiamato art. 52, co. 5, D.P.R. 633/1972.
Secondo tale impostazione l’elemento soggettivo richiesto dalla norma avrebbe, pertanto, una valenza per così dire «debole», nel senso che è sufficiente un semplice errore per far scattare il divieto di successivo utilizzo richiesto dall’articolo in questione.
La pronuncia della Corte di Cassazione n. 27556 del 29 dicembre 2009, ponendosi sulla medesima linea interpretativa espressa dalle Sezioni Unite con la già analizzata sent. n. 45/2000, giunge alla conclusione che non integrano i presupposti applicativi della preclusione di cui al comma 5 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 le dichiarazioni, corrispondenti al vero, circa l’indisponibilità del documento, sia se questo sia ascrivibile a caso fortuito o forza maggiore, sia se imputabile a colpa. In altre parole, la Corte di Cassazione afferma che la dichiarazione, resa dal contribuente nel corso di un accesso, di non possedere libri, registri, scritture e documenti (compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sia obbligatoria) richiestigli in esibizione determina la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione a suo favore ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa, solo nel momento in cui ricorrono le seguenti circostanze di fatto e di diritto:
- la sua non veridicità o, più in generale, il suo concretarsi, in quanto diretta ad impedire l’ispezione del documento, in un sostanziale rifiuto di esibizione, accertabile con qualunque mezzo di prova e, anche attraverso presunzioni;
- la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa;
- il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che, nel corso dell’accesso, possa essere effettuata l’ispezione del documento.
Di conseguenza, nella sentenza in analisi si afferma che “al contribuente che durante un accesso abbia a dichiarare di non possedere i libri, i registri, le scritture ed ogni altro documento fiscalmente rilevante o del quale sia obbligatoria la tenuta e conservazione è precluso di offrire tali documenti successivamente sia in sede amministrativa che giurisdizionale laddove tale dichiarazione sia manifestazione di dolosa sottrazione dei medesimi all’esame dei verificatori. Tale circostanza non sussiste allorquando l’indisponibilità sia determinata da colpa, caso fortuito o forza maggiore”.
Tesi a confronto
Cass., 25 febbraio 2000, n. 45 e 14 aprile 2006, n. 9127, n. 27556 del 2009
I libri, registri e documenti di cui si è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente nella fase successiva e in contenzioso, qualora congiuntamente sussistano:
l’elemento oggettivo dell’illecito;
la coscienza e la volontà della dichiarazione stessa;
il dolo, costituito dalla volontà del contribuente di impedire che nel corso dell’accesso possa essere effettuata l’ispezione del documento
Cass., 26 marzo 2009, n. 7269 e 28 ottobre 2009, n. 22765
I libri, registri e documenti di cui si è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente nella fase successiva e in contenzioso anche solo qualora ciò avvenga per errore non scusabile di diritto o di fatto (dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.) e, quindi, per colpa.
L’accertamento induttivo
In ragione di tutto quanto sopra evidenziato, si evince che, qualora il contribuente non abbia esibito in sede di accesso la documentazione contabile e ciò derivi da un mancato possesso per comportamento colposo e/o a causa di forza maggiore, la presentazione di suddetta documentazione resta impregiudicata nella successiva fase del procedimento amministrativo di accertamento tributario ed eventualmente nella fase contenziosa, fermo restando che l’Amministrazione finanziaria è legittimata a porre in essere un accertamento induttivo o extracontabile e, quindi, a rideterminare il reddito sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, prescindendo in tutto o in parte dalle risultanze contabili ove esistenti, con la possibilità di avvalersi di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza di cui all’art. 2729 del codice civile.
Infatti, ai sensi della lettera c) del comma 2 dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973, tale metodologia di accertamento è utilizzabile anche quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 dello stesso decreto risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per cause di forza maggiore.
A tal proposito, la Corte di Cassazione, confermando quanto già chiarito in precedenti e numerose pronunce, con la sent. n. 9919 del 16 aprile 2008 ha recentemente stabilito che l’Amministrazione finanziaria è legittimata al ricorso all’accertamento induttivo anche nel momento in cui le scritture contabili obbligatorie siano state oggetto di illecita sottrazione da parte di soggetti terzi (12) poiché permane in capo al contribuente l’onere probatorio relativo agli elementi di fatto e di diritto a sostegno della sussistenza di componenti negative, dedotte dal reddito d’impresa. A detta della Corte di Cassazione, pertanto, lo smarrimento o furto della documentazione contabile non può costituire elemento idoneo a giustificare la deduzione di costi qualora lo stesso contribuente non sia in grado di provare i fatti che legittimano il riconoscimento dei costi stessi.
Quanto sopra, d’altra parte, non preclude al contribuente la possibilità di ricostruire aliunde la propria contabilità e di fornire la prova che le deduzioni competono nella misura indicata. Infatti, così come affermato dalla stessa Corte di Cassazione con sent. del 16 settembre 2003, n. 13605, anche nel caso di illecita sottrazione della contabilità da parte di terzi o di altro evento di forza maggiore, l’onere della prova deve essere posto integralmente a carico del contribuente, il quale è tenuto a giustificare quanto indicato, fornendo gli elementi di fatto inerenti, ad esempio, l’acquisizione di beni o servizi collegati alle fatture oggetto di smarrimento o furto, il corretto assolvimento dell’Iva passiva ad esse connesse e la conseguente detraibilità.
Da quanto sopra ed operando un coordinamento tra l’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973 e l’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972, si evince che se il contribuente non ha esibito la documentazione contabile a causa, ad esempio, di smarrimento, dovuto a negligenza o a cause di forza maggiore, nella successiva fase amministrativa e/o contenziosa, è comunque legittimato a presentare gli elementi di fatto dai quali poter dedurre la correttezza di quanto indicato in dichiarazione ovvero esibire la documentazione eventualmente ritrovata, non operando, in tal caso, la descritta preclusione di cui al comma 5 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972. Le richiamate facoltà, pertanto, potranno essere esercitate dal contribuente sia nelle fasi del procedimento amministrativo tributario di accertamento successive all’accesso, come, ad esempio, in occasione della presentazione delle osservazioni e richieste nel termine di 60 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione, sia innanzi alle competenti Commissioni tributarie provinciali in sede di impugnazione dell’atto impositivo e dell’eventuale e contestuale atto di contestazione.
Il principio dell’inidoneità, ai fini della legittima applicazione della preclusione probatoria in analisi, dell’elemento soggettivo della colpa, al quale è connessa la mancata esibizione di documentazione in sede di accesso, trova ulteriore conferma nella posizione assunta dalla Corte di Cassazione nella già analizzata sent. n. 28049 del 30 dicembre 2009 poiché, in tale ambito, viene ribadita, anche se in via indiretta, la necessarietà di una condotta materiale del contribuente che, in ragione di una inequivocabile direzione della volontà dello stesso, è preordinata allo scopo di evitare l’analisi di determinata documentazione attraverso l’occultamento e/o la sottrazione, anche mediante intenzionali dichiarazioni non veritiere di non possedere.
La Suprema Corte, infatti, nella richiamata sentenza ha affermato che la disposizione di cui al comma 5 dell’art. 52 del D.P.R. n. 633/1972 è “giustamente ritenuta applicabile, quanto alle conseguenze del rifiuto, soltanto in presenza di una specifica richiesta o ricerca da parte dell’amministrazione, nel corso delle suddette operazioni, e di un rifiuto o di un occultamento intenzionali da parte del contribuente, non essendo sufficiente il fatto puro e semplice della mancata esibizione”.