SOCIETA' DI COMODO: INTERPELLO DISAPPLICATIVO
ARTICOLO - Pubblicato il: 16 novembre 2011 - Da: G. Manzana E. Iori
In presenza di situazioni oggettive che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi "minimi", nonché del reddito "minimo", così pure, dal 2012 in caso di perdite consecutive, la società può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell'articolo 37-bis, comma 8, del Dpr 600/73.
Prima delle modifiche normative intervenute col il Dl n. 223 del 2006, ai sensi del previgente comma 4 del citato art. 30, il contribuente era ammesso a fornire, in sede di accertamento, "la prova contraria sostenuta da riferimenti a oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento di ricavi, di incrementi di rimanenze e di proventi (…)".
L'ufficio accertatore che intendesse, infatti, contestare ad una determinata società non operativa il reddito minimo determinato presuntivamente, era tenuto, a pena di nullità, ad inviare preventivamente, anche mediante lettera raccomandata, una richiesta di chiarimenti intesa a conoscere eventuali situazioni oggettive di carattere straordinario che avevano reso impossibile il conseguimento di ricavi, di incrementi di rimanenze e di proventi nella misura richiesta dal comma 1 dell'art. 30 della Legge n. 724 del 1994.
A decorrere, invece, dal periodo d'imposta in corso al 4 luglio 2006, per effetto del comma 4-bis introdotto dal Dl n. 223 del 2006, all'art. 30 della Legge n. 724 del 1994, la procedura da attivare ai fini della disapplicazione delle norme sulle società non operative è stata innovata.
Ai sensi del citato comma 4-bis, infatti, "In presenza di oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell'imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi dell'articolo 37-bis, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600".
Venuta meno la possibilità di far valere in sede di accertamento la "prova contraria" (l'inciso "salvo prova contraria" è stato soppresso dall'art. 1, comma 109, lett. a), della Legge n. 296 del 2006), secondo l’Amministrazione finanziaria (Circ. Ag. Entrate n. 5/E del 2007 e 14/E del 2007 - e poi richiamate nella Circ. n. 25/E del 2007) sta a significare che la produzione dell'interpello è la sola possibilità che una società detiene per instaurare, in futuro, un contenzioso giudiziale. Questo nel senso che laddove l'Ufficio rigetti l'istanza, il successivo avviso d'accertamento (e non l'atto di diniego) sarà impugnabile. Ma se al contrario non è stata inoltrata l'istanza non sarà possibile in futuro produrre ricorso avverso l'avviso di accertamento: quel ricorso sarebbe inammissibile.
Si tratta, però, di un'evidente forzatura, visto che la norma dispone chiaramente che il contribuente «può richiedere» (anziché «deve richidere») la disapplicazione delle disposizioni antielusive, come definite dalla norma.
Quindi, è una facoltà e non un obbligo. Inoltre, va tenuto conto che l'inammissibilità del ricorso può essere disposta soltanto dal giudice tributario nelle ipotesi previste dagli articoli 18 e seguenti del Dlgs 546/92. E tra queste non ce n'è alcuna che dispone l'inammissibilità del ricorso per mancata presentazione dell'interpello delle società di comodo. In ogni caso non rientra tra i poteri dell'Agenzia dichiarare inammissibile un ricorso. Così, si ritiene che il contribuente potrà senz'altro far ricorso contro l'accertamento anche se non ha precedentemente presentato interpello disapplicativo. La questione è stata sollevata anche con un'interrogazione in Commissione finanze della Camera alla quale, il 21 febbraio 2007, il Governo ha risposto confermando la tesi dell'Agenzia: l'istanza di interpello costituisce un obbligo della società. Ma ciò contrasta con la norma che invece, al riguardo, utilizza la locuzione “la società interessata può (e non "deve" n.d.a.) richieder e (...)”.
Ammesso e non concesso che la tesi dell’Amministrazione finanziaria risulti corretta ci si potrebbe interrogare in merito alla necessità, ai fini del contenzioso, di presentare istanza di interpello tutti gli anni qual’ora non siano cambiate le situazioni che avevano in un periodo d’imposta precedente portato a un interpello negativo da parte dell’Amministrazione finanziaria. Il dubbio circa la necessità di ripresentare l’interpello trova fondamento nel provvedimento del direttore delle Entrate protocollo 2008/23681 che nell’individuare delle situazioni oggettive in presenza delle quali è consentito disapplicare le disposizioni sulle società di comodo senza dover assolvere all'onere di presentare istanza di interpello vi è anche (lett. f) “le società che hanno ottenuto l'accoglimento dell'istanza di disapplicazione in relazione a un precedente periodo di imposta sulla base di circostanze oggettive puntualmente indicate nell'istanza che non hanno subito modificazioni nei tre periodi di imposta successivi”. Letta in negativo se ne potrebbe dedurre che qualora si è ottenuto una risposta negativa all’interpello questa ha valore, in caso di invariaza di situazioni, anche per i tre periodi d’imposta successivi.
«(…) assolto l’onere di presentazione dell’istanza, deve tuttavia ammettersi la possibilità di riproporre la questione concernente l’operatività della società o dell’ente all’esame dei giudici tributari, mediante impugnazione dell’eventuale avviso di accertamento (…)».(C.M. 5/E/2007)
Favorevole: Ctp Lecce, sent. 15 aprile 2008, n. 93: «(...) il provvedimento di rigetto impugnato è senz’altro un atto impugnabile perché può farsi rientrare tra gli atti di diniego o di revoca di agevolazioni ai sensi e per gli effetti dell’art. 19, comma 1, lett. h) del D.Lgs. n. 546 cit., in quanto la disapplicazione della disciplina sulle società non operative è da qualificare, almeno indirettamente, come una sorta di agevolazione fiscale(…)».
Sfavorevole: Ctp Torino, sent. 21 dicembre 2007, n. 224 e Ctp Torino, sent. 16 aprile 2008, n. 45: «(...) l’atto di diniego è sostanzialmente un parere, non soltanto sotto l’aspetto formale o nominalistico, ma anche sotto il profilo sostanziale, per cui non è da ritenersi impugnabile (…) peraltro si tratta di provvedimento non contenente alcuna pretesa tributaria definita, in ragione della sua prodromicità a successivi provvedimenti impositivi (…)».
Circa l’impugnabilità della risposta a interpello va notato che L'amministrazione finanziaria è sempre stata contraria. Con circolare 32/E/2010, richiamando la decisione 414/2009 del Consiglio di Stato, l'Agenzia ha valorizzato la natura di parere di questi dinieghi; potendo il contribuente non adeguarsi a tali risposte, esse non sono immediatamente lesive della sua situazione soggettiva, con la conseguenza che la tutela giurisdizionale viene rinviata al momento dell'eventuale notifica di un accertamento. In altre parole, poiché il contribuente può scegliere di non adeguarsi a tali risposte, non sono immediatamente lesive della sua situazione soggettiva, con la conseguenza che la tutela giurisdizionale viene rinviata al momento del l'eventuale notifica di un avviso di accertamento.
Va tuttavia rilevato che, la Cassazione, con sentenza 8663/2011, ha affermato che il diniego di disapplicazione delle disposizioni antielusive integra un caso di negazione di agevolazione fiscale, per cui il relativo provvedimento risulta direttamente impugnabile ai sensi dell'articolo 19 del Dl 546/1992. Anche se la fattispecie esaminata dalla Suprema corte non riguardava direttamente una società non operativa, il diniego impugnato era stato rilasciato in applicazione dell'articolo 37-bis, comma 8, del Dpr n. 600/73, per cui non sembrerebbe prospettabile una conclusione diversa: tale norma, infatti, è espressamente richiamata dalla disciplina dell'interpello disapplicativo delle società di comodo (articolo 30, comma 4-bis, della legge n. 724/1994).
Secondo tale sentenza la Corte ha anche riconosciuto che il contribuente che ha presentato un'istanza in tal senso sia titolare di un vero e proprio diritto soggettivo, a che l'amministrazione finanziaria esamini compiutamente l'istanza e gli eventuali allegati al fine di verificare se possa sottrarsi alla disciplina limitativa di cui chiede la disapplicazione. I giudici hanno correttamente valorizzato il fatto che la procedura autorizzativa non è in alcun modo surrogabile o eludibile, nel senso che la mancanza di determinazione favorevole da parte della Dr impone indefettibilmente il rispetto (rectius l'applicazione) della norma antielusiva e la sottoposizione agli effetti sfavorevoli che questa implica.
Le conseguenze pratiche della pronuncia saranno certamente consistenti, sebbene non sfuggano le problematiche connesse alla devoluzione ai giudici tributari della cognizione di fattispecie che, spesso, necessitano di risposte celeri (a volte addirittura propedeutiche alla loro concreta realizzazione), caratteristica che mal si concilia con i tempi della giustizia tributaria.
A sostenerlo di tale tesi si segnala la Ctp Palermo con la sentenza 127/4/11. I giudici siciliani non si sono limitati ad avallare la tesi dell'impugnabilità in giudizio del diniego, ma hanno accolto, nel merito, le censure che la società ricorrente ha espresso con riferimento alla fondatezza di tale diniego.
Nella fattispecie, la particolare natura della ricorrente (società veicolo costituita da investitori istituzionali per la realizzazione di un programma industriale attraverso lo sfruttamento di un marchio) ha convinto la Ctp che non sussistevano i presupposti per individuare una società «di comodo», intesa nel senso di una struttura il cui effettivo scopo principale è quello di detenere beni per metterli a disposizione dei soci, svolgendo attività commerciale in modo del tutto marginale. Poiché la disciplina delle società non operative è finalizzata a evitare questo tipo di comportamenti, va disapplicata in tutte le situazioni in cui essi, di fatto, non si verificano.
Si segnalano poi altre sentenze dal medesimo contenuto: hanno infatti deciso in modo analogo la Ctp di Lecce (sezione V, n. 93 del 15 aprile 2008; sezione II, n. 479 del 12 novembre 2008) e la Ctr Puglia (sezione II, n. 71 dell'11 maggio 2010). Di segno opposto, invece, le Ctp di Milano (sezione VIII, n. 108 del 2 maggio 2008), di Torino (sezione IV, n. 45 del 16 aprile 2008) e di Ancona (sezione I, n. 188 e 189 del 10 settembre 2010) Ctp Emilia di Reggio Emilia sentenza 154/4/11, depositata il 21 settembre 2011.
Si noti come la sentenza 154/4/11, depositata il 21 settembre 2011 della Ctp di Reggio Emilia di Reggio Emilia va però oltre quanto previsto dalla Cassazione in quanto afferma che se il diniego non viene impugnato dal contribuente, «si rende definitiva la carenza del potere di disapplicazione della norma antielusiva in capo all'istante». In buona sostanza, la mancata impugnazione del diniego renderebbe impossibile sindacare, in sede di ricorso contro il successivo accertamento, la presenza delle condizioni di applicabilità della disciplina delle società non operative.
Tuttavia, per il principio di affidamento disposto dallo Statuto del contribuente (legge 212/2000), poiché in calce al provvedimento di rigetto viene esplicitamente affermata la non impugnabilità del medesimo, il contribuente deve essere rimesso in termini, per cui è ammissibile in via eccezionale il ricorso proposto contro l'atto di accertamento successivamente emesso dall'Agenzia.
Atteso che non è detto che tutti i giudici tributari abbiano la stessa sensibilità di quelli reggiani nel salvaguardare la tutela dei diritti del ricorrente, sembra prudente, in attesa che la questione venga definitivamente risolta, impugnare sempre, a titolo cautelativo, il diniego di disapplicazione, sulla base dell'orientamento della Corte di cassazione prima citato. In questa ipotesi, al fine di evitare eccezioni di inammissibilità per difetto di legittimazione passiva del resistente, appare opportuno notificare il ricorso sia alla propria Direzione provinciale che alla Dre che ha emanato il provvedimento di diniego.