CONFERIMENTO D'AZIENDA: ASPETTI FISCALI
ARTICOLO - Pubblicato il: 1 gennaio 2016 - Da: G. Manzana E. Iori
NOTARELLE IN MERITO AGLI ASPETTI FISCALI DEL CONFERIMENTO D’AZIENDA
Di seguito si analizzano alcuni interventi di prassi e dottrina intervenuti negli anni scorsi che hanno riguardato i conferimento d’azienda.
Nello specifico si tratta:
- Dell’ affrancamento l’imposta differita
- Dell’intrasferibilità dell’avviamento iscritto nella conferente
- Del valore riallineabile con la sostitutiva e mantenimento delle divergenze civilistiche-fiscali
- Della deducibilità extracontabile dei (maggiori) ammortamenti fiscali riconosciuti in capo alla conferente
- Della natura (fiscale) delle riserve nascenti in capo alla conferitaria e alla conferente
1) Affrancarmento dell’imposta differita
Secondo la ris. dell’Ag. delle entrate n. 50/E dell’11 giugno 2010 l'assoggettamento a imposta sostitutiva può riguardare anche gli ulteriori importi iscritti all'attivo in contropartita del fondo imposte differite. L'agenzia ha osservato che l'articolo 172, comma 10-bis del Tuir, consente di affrancare i maggiori valori iscritti in operazioni di fusione, dando rilevanza a tutte le differenze civili-fiscali che si originano nell'operazione secondo corretti principi contabili, senza porre limiti in relazione all'importo del disavanzo. L'intero maggior valore potrà dunque usufruire dell'affrancamento.
A tale proposito, e più in generale per tutte le operazioni di aggregazioni aziendali fiscalmente neutrali (conferimento di azienda, fusione e scissione), la formulazione del comma 2-ter dell’art. 176 del TUIR e dell’art. 2 del D.M. 25 luglio 2008, nonché la relazione illustrativa alla legge n. 244 del 2007, prevedono che “l’applicazione dell’imposta sostitutiva, tanto nell’operazione di conferimento quanto in quella di fusione e scissione, è finalizzata ad ottenere il riconoscimento dei maggiori valori dei cespiti iscritti in bilancio e non a tramutare la natura dell’operazione da neutrale in realizzativa”.
Va ricordato che la base di calcolo della sostitutiva è costituita, non già dal disallineamento originario, ma da quello residuo al termine dell'esercizio precedente all'opzione. Ciò impedisce, come noto (Assonime, circolare 51/2008), di dare riconoscimento fiscale agli ammortamenti stanziati e non dedotti nell'anno della fusione (e in quello successivo se l'opzione si effettua nel secondo esercizio).
Il caso affrontato nella risoluzione è il seguente: viene effettuata un’operazione di fusione dalla quale scaturisce un disavanzo da annullamento che la società incorporante contabilizza a incremento delle immobilizzazioni materiali. I maggiori valori vengono rilevati al lordo delle imposte differite, iscritte al passivo con l'aliquota del 31,4% (Ires e Irap). In pratica, fatto 100 l'importo del disavanzo, la rivalutazione dell'attivo sarà di 145,773 e il fondo imposte differite di 45,773 (pari al 31,4% dell'attivo).
La società aveva chiesto alle Entrate se, volendo applicare l'imposta sostitutiva, fosse consentito attribuire riconoscimento fiscale, non solo all'importo del disavanzo effettivo (100) ma anche all'ulteriore valore rilevato per effetto della contabilizzazione del fondo imposte (45,773).
Si consideri il caso di Alfa Srl con una partecipazione (100%) in Beta Spa per un valore di 1.000 euro.
Il patrimonio netto di Beta Spa è di 200 euro, costituito da: Immobili 300 euro - Debiti 100 euro.
Nel 2009 si attua la fusione di Beta in Alfa e si genera un disavanzo da annullamento pari a (1.000 - 200) = 800 euro.
Il disavanzo viene contabilizzato ad aumento del valore dell'immobile proveniente dall'incorporata Beta Spa.
Il valore effettivo dell'immobile è paria 1.500 euro.
La fiscalità differita: 31,4% (27,5% Ires + 3,9% Irap).
Il calcolo del maggior valore da iscrivere all'attivo con fiscalità differita(X) è : (X - 31,4% x X) = 800; X = 1.166 euro.
Il fondo imposte differite è quindi pari a: (1.166 x 31,4%) = 366 euro.
La scrittura contabile è la seguente:Immobili 1.166 a a fondo imp. differite 366 a disavanzo fusione 800
Il nuovo valore immobile: euro (300 + 1.166) = 1.466 euro (inferiore al valore di mercato)
L’iscrizione dell’imposta è previsto dai principi contabili, sia nazionali (cfr. OIC n. 25) che internazionali (IAS 12), i quali impongono che in sede di effettuazione di operazioni di aggregazione aziendale fiscalmente neutrali (conferimento di azienda, fusione e scissione) di rilevare, a fronte dei maggiori valori iscritti ai fini civilistici, le corrispondenti imposte differite passive. La contabilizzazione avviene attraverso l’ incremento corrispondente del l'importo attivo, purché il valore finale del bene non superi quello effettivo. In pratica si calcolerà il maggior valore al lordo delle imposte differite, iscrivendolo all'attivo, con un corrispondente fondo imposte nel passivo.
Si noti come la rilevanza del maggior valore anche oltre il disavanzo comporta differenti effetti fiscali qualora la società, avendo adottato immediatamente la scelta per l'affrancamento, iscriva le imposte differite nel bilancio post fusione con la stessa aliquota dell'imposta sostitutiva che andrà a versare nell'anno successivo (ad esempio al 12% anziché al 31,4%). In questo caso, infatti, l'incremento dell'attivo affrancabile sarà inferiore a quello indicato nella risoluzione.
La risposta è fornita in merito a una operazione di fusione ma, stando il contenuto della norma fiscale che tratta di tutte le operazioni di aggregazione fiscale neutrale (Cfr. art. 176, co. 2-ter del Tuir e art. 15 del Dl 185/2008), vale anche per le scissioni e i conferimenti.
2) Intrasferibilità dell’avviamento (fiscale) iscritto nella conferente
Secondo la cir. 8/E del 4 marzo 2010 il valore (fiscale) dell’avviamento eventualmente iscritto in capo al conferente prima dell’operazione di conferimento, non si trasferisce alla conferitaria e quindi rimane (fiscalmente) nella “disponibilità” della conferente.
Più precisamente, secondo quanto previsto dall’Amministrazione finanziaria:
– Il soggetto conferente, assume, quale valore delle partecipazioni ricevute, il valore fiscale dell’azienda conferita (da cui si è escluso l’avviamento ad essa riferibile).
Se l’avviamento aveva un valore fiscale - in quanto frutto di una precedente acquisizione, ovvero, in caso di operazioni di aggregazioni neutrali, in quanto affrancato ex art. 176 co. 3-ter del Tuir o art. 15 del Dl 185/2008 - questo continua a essere dedotto anche se civilisticamente la posta viene stralciata per effetto del conferimento. Così nel caso di affrancamento ex Dl 185/2008 la deduzione continuerà per noni( Cfr, art. 15, comma 10 del Dl 185/2008); negli altri casi per diciottesimi (Cfr. art. 103, comma 3-bis del Tuir). Nulla viene detto in caso di conferimento dell’unica azienda da parte dell’imprenditore individuale. In questo caso, considerato che lo stesso perde la qualifica di imprenditore (tant’è che le partecipazioni sono, obbligatoriamente acquisite nella sua sfera personale - cfr. art. 176 co. 2-bis e Circ. n.52/E del 10 dicembre 2004) il valore fiscale dell’avviamento si ritiene debba essere dedotto per intero nel periodo d’imposta di conferimento; ciò al pari di quanto previsto per i differimenti di tassazione del Tuir (vale a dire plusvalenze rateizzate, manutenzioni, vecchie spese di rappresentanza ecc.) che a “cascata” concorrono alla determinazione del reddito dell’ultimo periodo d’imposta (Cfr. chiarimenti del Sottosegretario alle Finanze durante i lavori in Commissione Finanze della Camera in data 12 giugno 1990).
– Il soggetto conferitario, in virtù del principio di neutralità che caratterizza fiscalmente tale operazione, subentra in tutti i valori fiscali che l’azienda conferita aveva presso il soggetto conferente, escluso il valore dell’avviamento. E’ sottinteso che qualora si verifichino i presupposti per l’iscrizione ex novo di una posta a titolo di avviamento, il soggetto conferitario potrà optare per il regime dell’imposta
sostitutiva di cui all’art. 15, comma 10, del Dl n. 185/2008 ovvero ai sensi dell’art. 176, comma 2-ter, del Tuir.
L’Amministrazione finanziaria giunge a queste conclusioni sulla base di una interpretazione letterale dell’art. 176 del Tuir secondo il quale “(…) il soggetto conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell’azienda stessa”. Se ne dedurrebbe, secondo l’amministrazione, che “il concetto di azienda conferita debba ricondursi al complesso delle attività e delle passività che il soggetto conferente trasferisce al soggetto conferitario per effetto e a causa dell’operazione straordinaria in esame. In tale contesto, considerato che il valore dell’ “asset” avviamento non è oggetto di trasferimento (ma viene stornato dalla contabilità del soggetto conferente in conseguenza della perdita di valore scaturente dalla “dismissione” del compendio aziendale di riferimento), tale posta contabile deve essere esclusa dal concetto di azienda conferita, così come definita dal citato art. 176, comma 1, del Tuir. Ciò anche nella ipotesi in cui, sotto il profilo contabile, il valore dell’avviamento sia incluso nel valore delle attività dismesse ai fini della quantificazione dell’utile o della perdita da conferimento. Pertanto, sotto il profilo fiscale, il valore fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita equivale alla somma algebrica dei valori fiscali di tutti gli elementi patrimoniali trasferiti, escluso il valore fiscale (che resta in capo al soggetto conferente) dell’asset avviamento riferibile al compendio aziendale trasferito”.
L’Amministrazione ne da poi un’altra giustificazione. Viene detto che “le suddette conclusioni (…) derivano da una duplice serie di considerazioni:
- la quantificazione dell’avviamento da cancellare deriva da un processo di natura necessariamente valutativa del tutto simile al processo di stima seguito per il test di impairment (così come previsto dallo IAS 36);
- l’operazione di conferimento che determina lo storno contabile dell’avviamento è di natura fiscalmente neutrale e, come tale, non può costituire un’ipotesi di realizzo di plusvalenze e minusvalenze in capo al soggetto conferente. Pertanto, in virtù del principio di neutralità, il soggetto conferente deve conservare, in relazione all’asset avviamento, il medesimo regime fiscale di deduzione applicabile ante conferimento”.
3) Valore riallineabile con la sostitutiva e mantenimento delle divergenze civilistiche-fiscali
Si parla spesso di differenze residue, cioè del disallineamento esistente non alla data in cui l'operazione straordinaria è stata eseguita, bensì alla chiusura del bilancio dello stesso esercizio, o di quello successivo a seconda del momento in cui si sceglie di eseguire l'affrancamento. Ma nel frattempo saranno stati imputati a conto economico ammortamenti che avranno in parte ridotto il disallineamento. Questo effetto si manifesta in modo più evidente se il riallineamento avviene con opzione nel secondo periodo d'imposta successivo all'esecuzione dell'operazione (Cfr. Assonime circ. 51/2008 – par. 3.2.8 e Ag. entrate circ. 57/E/2008 - par. 3.3.4).
Uno degli aspetti critici nell'applicare l'imposta sostitutiva – cui l'Assonime ha fatto particolare riferimento nella circolare 51/2008 – è l'individuazione dei maggiori valori che è consentito riconoscere fiscalmente. Assonime ha ricordato che i conferimenti di azienda vengono normalmente rappresentati contabilmente a saldi chiusi (come se fossero cessioni). Per il Fisco, invece – anche in caso di opzione per il regime sostitutivo – la conferitaria subentra a saldi aperti, cioè nei valori "originari" del conferente, a prescindere dal valore netto eventualmente rappresentato in bilancio a saldi chiusi.
Il primo problema è individuare il quantum delle differenze da affrancare. Assonime afferma che occorre procedere al confronto tra il nuovo valore di iscrizione e il saldo algebrico tra i valori dell'attivo e dei fondi rettificativi evidenziati presso il conferente.
Ad esempio, un bene con valore di libro di 100, ammortizzato per 70 e con valore residuo di 30, potrebbe essere iscritto dalla conferitaria a 50, evidenziando un maggior valore di 20 rispetto al valore netto di partenza. In questo caso, la conferitaria potrà avvalersi del riallineamento a pagamento sull'importo di 20.
A questo punto, occorre conciliare questo risultato contabile a saldi chiusi con il principio di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti tipico dei saldi aperti che caratterizzano l'articolo 176 del Tuir. Il coordinamento si realizza assumendo che il maggior valore oggetto dell'affrancamento costituisce una componente incrementativa del costo storico dei beni ricevuti; l'orientamento è confermato dalla relazione illustrativa al decreto in cui si legge «che il maggior valore evidenziato in sede contabile e assoggettato a imposta sostitutiva si deve considerare ai fini fiscali aggiunto al costo fiscale ereditato in virtù del principio di continuità».
In quest'ottica, dunque, la società conferitaria subentrerà nell'ammortamento già iniziato dalla conferente e lo proseguirà applicando i coefficienti tabellari su una base di computo più elevata.
Riprendendo l'esempio, il maggior valore affrancato di 20 va sommato al costo originario di 100, determinando un nuovo valore fiscalmente riconosciuto di 120 sul quale si calcoleranno maggiori ammortamenti.
La conseguenza è che l'affrancamento mediante sostitutiva non opera un riallineamento tra valori civilistici e fiscali dei beni iscritti dalla conferitaria, se non con riguardo ai rispettivi saldi netti. Nel nostro esempio, a fronte di una rilevazione contabile per 50 da parte della conferitaria, il valore fiscale del bene, dopo l'affrancamento, sarà pari a 120, al netto del fondo di ammortamento di 70, e, quindi, pari a 50; allineato, pertanto, a quello di iscrizione del bene presso la conferitaria. Dal punto di vista dei valori netti, quindi, vi è coincidenza (50) mentre resta un differenza tra esposizione in bilancio a saldi chiusi e assetto fiscale basato sulla continuità dei valori. L'impostazione favorisce il contribuente perché il computo degli ammortamenti fiscali ammessi è effettuato sul costo storico rivalutato (120) anziché sul valore netto di iscrizione del bene (50).
4) Deducibilità extracontabile dei (maggiori) ammortamenti fiscali riconosciuti in capo alla conferente.
Secondo la norma di comportamento n. 178 dell’Associazione italiana dei dottori commercialisti del 20 ottobre 2010 in ipotesi di conferimento di azienda soggetto alla disciplina di cui all'articolo 176 del Tuir, ma la previsione è estendibile anche alle altre operazioni di aggregazione in neutralità fiscale, la società conferitaria è ammessa a computare gli ammortamenti (fiscali) avendo come riferimento il costo storico dei beni previsto in capo alla società conferente. Se gli stessi non sono in tutto o in parte imputati a conto economico a causa delle tecniche contabili o valutative adottate (e non, viceversa dalla previsione di un allungamento della residua vita utile dei beni), la deducibilità, da attuarsi mediante una variazione diminutiva in sede di dichiarazione dei redditi, è ammessa in applicazione dell'articolo 109, comma 4, lettera b del Tuir.
Tale articolo, alla lettera b) prevede una deroga al c.d. principio di imputazione – principio che richiede, ai fini della deducibilità delle spese e gli altri componenti negativi l’imputazione al conto economico – nel caso di esistenza di una “disposizione di legge” che riconosce la deducibilità a prescindere dall’imputazione. Tale “disposizione di legge”, secondo l’Aidc, è individuabile nel regime di neutralità statuito dall'articolo 176 del Tuir, il quale prevede che, nelle operazioni di conferimento, “il conferitario subentra nella posizione di quello conferente in ordine agli elementi dell’attivo e del passivo dell'azienda stessa” non assumendo rilievo il valore di stima né quello contabile attribuito agli stessi; neutralità fiscale da cui deve conseguire, evidenzia la norma di comportamento, una continuità dei valori fiscalmente riconosciuti indipendentemente dai comportamenti contabili e valutativi adottati dalla società conferitaria (in tal senso anchel’Abi, circolare n. 7 del 30 marzo 1998, paragrafo 3.2.5.1, con riferimento ai conferimenti "neutrali" di cui all'articolo 4 del Dlgs 358 del 1997, la quale, trattando del caso di cespiti acquisiti nella contabilità del conferitario sulla base del loro valore di stima osserva che “sorge il dubbio in proposito se la quota di ammortamento così misurata possa considerarsi deducibile per intero, anche per la frazione non imputata al conto economico. Sembra possibile sostenere la tesi della integrale deducibilità, considerato che, nella fattispecie, la deduzione troverebbe fondamento in una esplicita disposizione di legge (si veda l'articolo 75, comma 4, del Tuir”).
La situazione non è per nulla teorica: si tratta del caso di beni oggetto di conferimento per i quali non viene (civilisticamente) palesato, o non del tutto palesato, il loro valore effettivo - o il loro valore effettivo già corrisponde al netto contabile - e per i quali si proceda alla contabilizzazione a “saldi chiusi”. In questo caso il valore di iscrizione nell'attivo della conferitaria è inferiore al costo storico lordo della società conferente. Se la conferitaria effettua gli ammortamenti civilistici applicando la stessa aliquota della conferente, la conferitaria, a parità di altre condizioni, imputerà a conto economico minori ammortamenti.
Si consideri il caso che nella contabilità della conferente un bene è iscritto a 100 e ammortizzato per 70.
Il valore peritale del suddetto bene è 20.
Il coefficiente d'ammortamento è il 10 per cento.
La conferitaria iscrive il bene a 20.
La società conferitaria imputa a conto economico l’ammortamento per 2 (20 x 10%), mentre se non ci fosse stato il conferimento la conferente avrebbe imputato ammortamenti per 10 (100 x 10%).
Secondo l’Aidc la differenza pari a 8 potrà essere dedotta come variazione diminutiva nel quadro RF.
Diversa dottrina (circolare Assonime 51/2008, paragrafo 1.3.4) esprime sul punto una posizione di maggiore cautela nel sostenere la deducibilità «a prescindere» degli ammortamenti non imputati a conto economico, quando afferma che «per effetto dell'abrogazione del regime delle deduzioni extracontabili... gli ammortamenti deducibili sono solo quelli imputati a conto economico».
SECONDO ME, NON CI STA:
- LA NEUTRALITà RIGUARDA GLI ELEMENTI DELL’ATTIVO E DEL PASSIVO FISCALI E NON DEI CRITERI DI DEDUCIBILITA’
- IL PRINCIPIO DI IMPUTAZIONE E’ LEGATO AL COMPORTAMENTO CIVILSITICO ADOTTATO E IN TAL SENSO, LA NEUTRALITA’ FISCALE DEL 176 NON HA NULLA A CHE VEDERE.
SE IL CONTRIBUENTE VUOLE CHE FACCIA IL CONFERIMENTO A SALDI APERTI.
5) Natura (fiscale) delle riserve nascenti in capo alla conferitaria e alla conferente
Con la Ris. n. 82/E del 6 giugno 2000, il Ministero delle Finanze ha precisato che la “riserva” non tassata (ovvero la quota di utile corrispondente alla plusvalenza da conferimento, al netto delle imposte differite) iscritta nel bilancio del soggetto conferente per effetto del conferimento effettuato per valori superiori rispetto a quelli fiscalmente riconosciuti, rappresenta una posta contabile che “non costituisce, fiscalmente, un fondo in sospensione d’imposta, bensì una libera posta del patrimonio netto”. Da ciò consegue che può essere liberamente utilizzata per coprire eventuali perdite, ovvero distribuita ai soci; in quest’ultimo caso, si avrebbe in capo a questi la tassazione come dividendo con le regole ordinarie previste dagli artt. 47, 59 o 89 del Tuir a seconda della tipologia del socio.
L’assenza di una specifica disciplina fiscale per la riserva citata è giustificata dal fatto che, a differenza delle precedenti leggi di carattere agevolativo temporaneo che attribuivano pieno riconoscimento fiscale ai valori assunti dal soggetto conferitario, nei conferimenti in esame i maggiori valori assunti sono privi di rilevanza fiscale, sia per il soggetto conferente che per il conferitario. Conseguentemente, non si determinano salti d’imposta che necessitino l’adozione di istituti cautelativi, quali la riserva in sospensione d’imposta. Data la natura della riserva la sua distribuzione non comporta l’affrancamento dei beni cui si riferisce. Tali argomentazioni sembrano valide anche dopo le modifiche di sistema realizzate con il Dlgs n. 344 del 2003 e trovano indirettamente conferma nella Ris. 12/E/2009 che tratta, della situazione del tutto analoga in caso di scissione.
L’Amministrazione finanziaria non ha invece mai affrontato il caso in cui il soggetto conferente sia una società di persone o una impresa individuale. Gli effetti dell'operazione dovrebbero essere i seguenti: la società realizza una plusvalenza che interessa il suo conto economico; in dichiarazione dei redditi viene operata una variazione in diminuzione di pari importo; conseguentemente, il reddito imputato per trasparenza ai soci non tiene conto della plusvalenza "virtuale" derivante dal conferimento. Se successivamente il risultato di bilancio venisse distribuito ai soci, si dovrebbe trattare di un'attribuzione di utili fiscalmente irrilevante. Analoghe considerazioni dovrebbero essere raggiunte quando la plusvalenza da conferimento interessa un'impresa individuale. In alternativa, occorrerebbe una norma specifica per rendere imponibili queste somme in capo ai percettori.
La soluzione più ragionevole sembra quella della non imponibilità in capo ai soci delle somme percepite. A favore di questa ipotesi vi sono diverse considerazioni, prima fra tutte la regola che vuole che le esenzioni da imposte sui redditi in capo alle società di persone si trasformino automaticamente (dato il principio di imputazione per trasparenza) in esenzioni anche in capo ai soci.
In secondo luogo, la tassazione sulla società avverrà comunque in una fase successiva, e cioè quando avverrà la cessione della partecipazione ricevuta dal conferimento. Anche se ci fossero tutti i requisiti per la participation exemption, infatti, la società di persone sarebbe comunque tassata (cioè imputerebbe ai soci) il 40% della plusvalenza realizzata. Infine, a sostegno di questa tesi si può anche far notare che, nel caso delle Srl trasparenti è stata volutamente inserita una disposizione che non consente questo meccanismo, e cioè il binomio plusvalenza esente sulla società, dividendo esente sul socio. Si tratta infatti della norma (articolo 116, comma 1, ultimo periodo) che impedisce la trasparenza nel caso di possesso di partecipazioni esenti. Ma proprio l'introduzione di questa norma ad hoc che vieta questa soluzione dovrebbe dimostrare che, in tutti gli altri casi, essa è possibile.
Più problematica è l’analisi della natura della riserva in capo alla conferitaria. In vigenza dell’art. 4 del Dlgs n. 358 del 1997 la natura era esplicitamente indicata dal Legislatore. La norma (comma 3) affermava che la parte di incremento del patrimonio netto della conferitaria eccedente rispetto al costo fiscalmente riconosciuto dell’azienda conferita si deve considerare formata con utili. La conseguenza era che la distribuzione di detta riserva generava sì dividendi tassabili, ma con fruizione di credito d’imposta.
La ratio di tale norma era da ricondurre al meccanismo dei canestri d’imposta che per la conferitaria si venivano fisiologicamente a formare per effetto delle variazioni in aumento rappresentate dalla gestione di valori contabili più elevati rispetto a quelli fiscalmente riconosciuti. L’affermazione normativa che riconosceva natura di utile all’aumento del patrimonio netto era funzionale all’utilizzo, in caso di distribuzione della riserva, di imposta allocate nei c.d. canestri. Tutto ciò rendeva tendenzialmente neutra, sotto il profilo fiscale, la distribuzione delle riserve in capo ai soci. Tali argomentazioni non sembrano più valide dopo le modifiche realizzate con il Dlgs n. 344 del 2003. E ciò per due ordini di motivi:
- allo stato attuale nessuna norma qualifica la natura della riserva in capo alla società conferitaria;
- il venir meno dell’intero regime del credito d’imposta rende superata la motivazione che aveva indotto il legislatore a configurare la riserva tra quelle di utile.
Detta affermazione era una sorta di “imposizione normativa” poiché nessuno può dubitare che la natura dell’incremento patrimoniale che si genera a seguito del conferimento sia quella di capitale: la riserva nasce esattamente dall’apporto del nuovo socio. Pertanto l’aumento di capitale sociale dovrebbe avere natura (anche fiscale) di capitale (Cfr. L. Miele, Dietrofront sulle riserve, Il Sole 24 Ore; P. Meneghetti, Disciplina fiscale delle riserve di capitali e analisi delle riserve dia conferimento, Il Sole 24 Ore, Forum fiscale, n. 10, ottobre 2005, pg. 17).