INDAGINI FINANZIARIE
ARTICOLO - Pubblicato il: 3 marzo 2016 - Da: G. Manzana E. Iori
Per l'utilizzabilità degli elementi acquisiti da indagini eseguite nei confronti di terzi occorre considerare il differente rapporto esistente tra il contribuente e il terzo. La norma, ma soprattutto la giurisprudenza si è pronunciata diversamente a seconda che si faccia riferimento a situazioni nelle quali il contribuente ha una legittima disponibilità, rispetto a caso di rapporti intestati a terzi e, nell’ambito di questi, se vi sia o meno un rapporto di familiarità tra il contribuente l’intestatario della posizione.
Rapporti sui quali il contribuente ha una legittima disponibilità
Per i rapporti sui quali il contribuente ha una legittima disponibilità (si pensi al conto del figlio o della moglie su cui il contribuente ha una delega), l'utilizzabilità è condizionata al fatto che il Fisco provi che le operazioni compiute sono ascrivibili direttamente al contribuente (Cass. 8826 del 28 giugno 2001).
Rapporti intestati a terzi
Per i rapporti esclusivamente intestati a terzi l'utilizzabilità dei risultati scatta solo se il Fisco prova l'interposizione fittizia con sostanziale imputabilità al contribuente (Cassazione n. 1728/1999).
Infatti, in via di principio, le indagini trovano applicazione unicamente ai rapporti intestati o cointestati al contribuente sottoposto a controllo. Le stesse potestà si applicano anche relativamente ai rapporti intestati e alle operazioni effettuate esclusivamente da soggetti terzi, specialmente se legati al contribuente da vincoli familiari o commerciali, ma solo dopo che l’ufficio accertatore ha dimostrato che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è “fittizia o comunque è superata”, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione “bancaria” acquisita (in tal senso, Cassazione nn. 1728/1999, 8457/2001, 8826/2001 e 6232/2003). In tal senso anche l’Agenzia delle entrate nella Circ. 32/E del 2006.
L’intestazione fittizia, in sostanza, si manifesta tutte le volte in cui gli uffici rilevino nel corso dell’istruttoria che le movimentazioni finanziarie, sebbene riferibili formalmente a soggetti che risultano averne la titolarità, in realtà sono da imputare a un soggetto diverso che ne ha la reale paternità con riferimento all’attività svolta.
In tale ottica, è bene ricordare che, in coerenza anche con il prevalente orientamento della giurisprudenza (Cfr. Cass. n. 8826 del 28 giugno 2001; Cass. n. 1633 del 4 febbraio 2003; Cass. n. 4987, del 1° aprile 2003; Cass. n. 6232 del 18 aprile 2003; Cass. n. 13391 del 12 settembre 2003; Cass. n. 13819 del 18 settembre 2003) i verificatori per poter utilizzare la presunzione iuris tantum - di cui all’art. 32, co. 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973 ed all’art. 51, co. 2, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972 - a carico del soggetto terzo dovranno ricercare la prova, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che i conti correnti siano riconducibili al contribuente oggetto di verifica.
In altri termini, come peraltro sancito anche dalla Corte di Cassazione, Sezione tributaria, con la sentenza n. 4423 del 26 marzo 2003, il potere di indagini bancarie esercitato nei confronti dei soggetti terzi - rispetto al contribuente - deve soddisfare il principio secondo cui l’esistenza dell’interposizione fittizia di persone diverse dal soggetto verificato non deve costituire lo scopo dell’indagine bancaria, ma la premessa di essa (Cfr. In senso analogo, si veda Lovecchio, Più tutele sugli accessi bancari, ne Il Sole 24 ore del 04 Aprile 2003 pag. 26; in senso parzialmente contrario, si veda la Corte di Cassazione, Sezione tributaria, sentenza n. 8683/2002).
In mancanza della prova dell’interposizione fittizia del soggetto terzo, si ritiene che i verificatori non possano, in punto di diritto, applicare la presunzione legale relativa, pur potendo fornire elementi probatori, anche dinanzi al giudice tributario, per ogni singola movimentazione finanziaria rilevata sui conti bancari o postali del terzo della riconducibilità delle stesse all’attività del professionista verificato.
Rapporti intestati a terzi; il caso dei familiari
Discorso a parte il caso dei conti dei familiari. Nello specifico sulla «prova» della «riferibilità» a soggetti che presentano legami familiari o più in generale a soggetti terzi, l’agenzia delle entrate ha avuto modo di evidenziare che ciò è possibile ma «a condizione che l’ufficio accertatore dimostri che la titolarità dei rapporti come delle operazioni è “fittizia o comunque è superata”, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al contribuente medesimo delle posizioni creditorie e debitorie rilevate dalla documentazione bancaria acquisita» (circolare 32/2006).
La Suprema Corte si è espressa in termini diversificati:
- con alcune decisioni ha ritenuto «automaticamente provata» (senza bisogno di ulteriori indagini e riscontri) la «riferibilità» al contribuente dei «rapporti» bancari intrattenuti dalla «moglie» (Cfr. Cass., Sei Trib., Sentenza 17 giugno 2002, n. 8683 che, tra l’altro, ritiene legittima l’acquisizione di dati relativi a conto del coniuge pur in assenza di una apposita specifica autorizzazione per l’accesso a tale conto, diverso da quello del contribuente cui si riferiva l’autorizzazione rilasciata) o dal «figlio» (Cfr. Sei Trib., Sentenza 7 febbraio 2008, n. 2843.) o, in generale, da «familiari» del contribuente (Cass., Sei Trib., Sentenza 11 marzo 2010, n. 5913 e sentenza n. 20449 della Corte di cassazione, depositata il 6/10/2011) e la «riferibilità» alle società di persone (Cfr. tra le molte: Cass., Sentenze 14 maggio 2007, n. 10982; 21 marzo 2007, n. 6743; 21 gennaio 2009, n. 1452) dei «rapporti» intestati ai soci (amministratori).
Nell’accertamento bancario a carico di una Snc a ristretta base familiare l’ufficio può legittimamente riferire alla società le movimentazioni in entrata e in uscita dai conti correnti bancari personali dei soci, senza dover addurre elementi ulteriori rispetto al mero legame familiare e societario (CTR Lombardia sentenza 355/45/2016).
- con altre pronunce ha, invece, affermato che la contiguità di persone legate al contribuente da vincoli di familiarità o da rapporti commerciali o di funzione non è di per sé sufficiente, in assenza di altri indizi, per riferire al primo le risultanze di rapporti intestati ad altri soggetti (Cfr. Cass., Sei Trib., Sentenza 14 novembre 2008, n. 27186, nella quale, tra l’altro, si legge: «Nel dettato normativo non è invero rinvenibile una presunzione di riferibilità all’attività fiscalmente rilevante del contribuente delle movimentazioni di conti allo stesso collegabili solo in virtù del rapporto organico o familiare del titolare degli stessi. Se è vero, infatti, che la possibilità di acquisizione dei dati dei conti correnti può essere estesa anche a quelli intestati a persone che per la loro contiguità al contribuente possono essere considerate per ciò solo sospette in base a considerazioni desumibili dalla comune esperienza questo non significa che le movimentazioni rilevate possano per ciò solo essere sic et simpliciter imputate al contribuente in quanto così operando si fa assurgere quella che è una semplice possibilità, sia pure avvalorata dalla concreta osservazione del fenomeno, a regola di comune esperienza rispondente al canone dell’id quod plerumque accidit, così da dare per scontata l’esistenza di una situazione sostanziale confliggente con quella formale anche in assenza di una norma che autorizzi espressamente una tale operazione mentre è necessario un ulteriore passaggio consistente nell’accertamento che l’intestazione sia sostanzialmente fittizia nel senso che il conto corrente esaminato sia in realtà utilizzato dal contribuente stesso (...)»; in termini analoghi, anche, Cass., Sentenze 18 aprile 2003, n. 6232; 16 aprile 2003, n. 6073; Sei Trib. 28 giugno 2001, n. 8826; Sei Civ., 2 marzo 1999, n. 1728).
In merito si ricorda anche
- l’ ordinanza 4 dicembre 2009, n. 25623 della Corte che ha escluso che tale estensioni situazioni operi un qualsiasi automatismo qualora venga provata: 1) la regolare tenuta della contabilità; 2) la dimostrazione che i flussi di pagamento sono regolari in capo alla società;
- l’ordinanza n. 23428/2010 della Corte la quale, nell’ambito di un’indagine bancaria esperita nei confronti della società, ha delimita puntualmente l’ambito oggettivo dei movimenti bancari del socio da sottoporre a verifica, specificando che qualora venga provato documentalmente la riconducibilità degli stessi alla sfera extra-imprenditoriale (o comunque privata e familiare) dell’imprenditore, debbano di fatto essere esclusi dall’accertamento, non potendo le stesse essere poste a base dello stesso; in termini analoghi Cass., Sei Trib., Sentenza 9 ottobre 2009, n. 21454, che richiama anche Sentt. 13391/03 e 4423/03 e, da ultimo la sentenza n. 20668/2014 della Corte la quale, evidenziava la necessità di «altri elementi significativi desunti dalle circostanze del caso concreto», ulteriori rispetto al semplice legame, al fine di attribuire al contribuente accertato i conti bancari di terzi a lui legati.
Secondo dottrina (Cfr. Accertamenti con adesione, Disciplina e modalità operative, Guida ai controlli, R. Lunelli, Il Sole 24 Ore – Frizzera, 6/2010) – avuto riguardo ai principi sulla «prova» – la riconducibilità al contribuente di movimentazioni nominalmente (e direttamente) riportabili a soggetti terzi dovrebbe essere «filtrata» attraverso la dimostrazione, anche se del caso tramite presunzioni, della natura «fittizia» dell’intestazione a terzi.
Resta, tuttavia, il problema più generale che gli uffici dovrebbero prima individuare gli elementi (e riportarli nell'autorizzazione) in base ai quali ritengono riconducibili i conti dei terzi al contribuente verificato, e non sottoporre a controllo questi conti e poi desumere la loro riconducibilità ad altri una volta che le informazioni cono state acquisite. Il rischio in questi casi, ancora maggiorea seguito delle nuove possibilità di acquisizione delle informazioni presso gli intermediari finanziari previste dalla manovra, è che prima si eseguono indagini, quasi a tappeto, sui conti anche di persone non sottoposte a controllo fiscale e solo successivamente si individuano gli inidzi per ricondurre gli esiti del controllo al contribuente verificato.