LA PROVA DEL CONTRIBUENTE NELLE INDAGINI FINANZIARIE

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ARTICOLO - Pubblicato il: 30 agosto 2016 - Da: G. Manzana E. Iori

 

Per contrastare le «presunzioni» legali (per l’appunto «relative»), la «migliore» prova è quella «documentale». Non va infatti dimenticato che «Nel processo tributario, nel caso in cui l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, è onere del contribuente, a carico del quale si determina una inversione dell’onere della prova, dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non siano riferibili ad operazioni imponibili, mentre l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, per legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti» (cfr. Cass., Sentenza 31 marzo 2010, n. 7813).

In alcune pronunce di legittimità era stato inizialmente affermato che alla presunzione di legge va contrapposta una prova e non un’altra presunzione. In seguito è però prevalso l’orientamento favorevole all’ammissibilità della prova presuntiva, sia perché la stessa «è ad ogni effetto una prova, sia perché, salvo espresse previsioni legislative in contrario, vige nel nostro ordinamento il principio di libertà dei mezzi di prova, sia infine perché non risulta ricavabile dal sistema un principio in base al quale la prova contraria ad una presunzione legale non possa essere fornita per presunzioni» (sentenza 25502/2011, confermata dalle decisioni 13500/2012, 17250/2013, 1118/2013 e 1560/2015).

Tale orientamento appare condivisibile ed è stato ribadito dalla sentenza 18125/2016, nella quale è stato anche precisato che la prova contraria fornita dal contribuente deve essere attentamente valutata dal giudice di merito, che «è tenuto a individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato deve essere apprezzato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo» (in questo senso si erano espresse le pronunce 4585 e 1560/2015).

Corte di Cassazione con la sentenza n. 18125 del 15 Settembre 2015 e 18125/ 2016, ha chiarito che la prova, che deve essere specifica (non potendo contrapporsi affermazioni generiche), può fondarsi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Il contribuente quindi per soddisfare l’onere probatorio, può anche avvalersi di presunzioni semplici le quali però devono essere attentamente verificate dal giudice. Egli deve correlare ogni indizio (purchè grave preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati ed il risultato va valutato nei tempi, nell’ammontare e nel contesto complessivo.

A tale riguardo l’agenzia delle Entrate ha precisato, nella circolare 28/E del 2006, che i contribuenti sono sollevati dall’onere di fornire la prova contraria in relazione ai prelevamenti che, «avuto riguardo all’entità del relativo importo ed alle normali esigenze personali e familiari, possono essere ragionevolmente ricondotti nella gestione extra-professionale» e tale orientamento è stato ribadito nella circolare 32/E dello stesso anno, nella quale è stato affermato che il contribuente può fornire la dimostrazione, «anche di natura presuntiva, che trattasi di spese non aventi rilevanza fiscale sia per la loro esiguità, sia per la loro occasionalità e, comunque, per la loro coerenza con il tenore di vita rapportato al volume d'affari dichiarato».

La via di fuga del contribuente passa quindi inevitabilmente per un duplice obbligo:

- confutare analiticamente ciascuna operazione e

- corredare la giustificazione con idonea documentazione.

La C.M. 32/E/2006, ai fini della prova, a ritenuto validi (tra gli altri) gli atti e i documenti che provengono:

- dalla pubblica Amministrazione;

- da soggetti aventi fede pubblica (quali per es.: notai, pubblici ufficiali e sim.);

- da soggetti terzi in qualità di parte dei rapporti contrattuali di diversa natura (rimborsi, risarcimenti, mutui, prestiti ecc.).

Anche la giurisprudenza (in più riprese, con orientamenti non sempre lineari) ha specifi¬cato che:

- la dimostrazione che i movimenti bancari in entrata di un lavoratore dipendente costituiscono reddito di lavoro autonomo «non dichiarato» spetta ai verificatori (Cass. 11 novembre 2009, n. 23852);

- le dichiarazioni sostitutive di atti notori (e le autocertificazioni) hanno validità solo in alcune procedure amministrative, ma non hanno efficacia specifica nel processo tributario (Cass. 19 marzo 2010, n. 6755);

- le dichiarazioni rese da terzi non costituiscono di per sé elementi sufficienti per vincere le presunzioni tipiche delle indagini finanziarie, costituendo meri elementi indiziari (Cass. 22 giugno 2010, n. 14960).

-           al fine di evitare l’operatività delle presunzioni, il contribuente non si deve limitare a prospettare una spiegazione logica alternativa, «essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa del fatto appaia come l’unica possibile» (Cass. ordinanza 24933/2009 depositata il 26 novembre 2009, in senso conforme, Cass. 12 febbraio 2008, n. 3267).

Tuttavia, se è possibile provare, con relativa facilità, eventuali «giroconti» o introiti da cessioni di beni personali o da indennizzi assicurativi, non sarà facile dimostrare (documentalmente) le «causali» di «movimentazioni finanziarie» (in accredito/versamento o in addebito/prelevamento) avvenute per contanti: tanto più che eventuali dichiarazioni o attestazioni scritte rilasciate da terzi (indicati, ad esempio, come «beneficiari» di somme «prelevate» in contanti) non hanno il valore probatorio di una «testimonianza»; e in un eventuale giudizio costituirebbero elementi «indiziari» liberamente apprezzabili dal giudice.

Si ritiene, peraltro, che possa esser valorizzata dagli uffici (in sede di contraddittorio) o dal giudice (in caso di giudizio) tutta una serie di comportamenti che – obiettivamente considerati – porti a ritenere inattendibili (in concreto) le presunzioni legali: si può pensare a prelevamenti di importo ridotto (fino a 300 o 500 euro), anche perché non è facile ricostruire – a distanza di qualche anno – «operazioni» così modeste; o a prelevamenti a cadenza regolare (es. settimanali), perchè possono giustificarsi con le ordinarie esigenze di mantenimento del nucleo familiare; o, ancora a prelevamenti a favore di un figlio che frequenta l’università in un’altra città, ecc. L’importante, in assenza di vere «prove» è che le circostanze e gli elementi di fatto, debitamente esposti e valutati, rendano verosimili e, soprattutto, convincenti le difese del contribuente, facendole assurgere da mere «asserzioni» a dichiarazioni attendibili.

Ciò significa che per superare la prova contraria il contribuente potrà opporre una presunzione «grave, precisa e concordante», ma anche una presunzione semplice (come viene ammesso dalla più recente giurisprudenza di legittimità - Cassazione 1118/2013 e 18125/ 2016); ciò a condizione che il giudice sia in grado di correlare gli elementi probatori forniti dal contribuente ai movimenti contestati: da cui la necessità di documentare il più possibile le argomentazioni difensive.

Da ultimo, per la difesa il contribuente può anche procedere ad acquisire dichiarazioni di terzi che sono ammesse nel processo tributario quali elementi indiziari (e non prove testimoniali): per rafforzali potrebbe richiedere il riscontro al Giudice, anche con apposito incarico di raccolta delle dichiarazioni da conferire alla Guardia di finanza, come ammesso da un decennio dalla giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 4423/2003). Tale previsione è stata ribadita, dalla stessa corte con la sentenza 7707/2013. Viene detto che nel processo tributario è possibile introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale. Queste hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, i quali possono concorrere a formare il convincimento del giudice. Ne consegue che, come l'amministrazione utilizza legittimamente le dichiarazioni di terzi soggetti sotto le più svariate forme (risposte a questionario, dichiarazioni in verbali, eccetera), anche il contribuente può acquisire a proprio favore dichiarazioni di terzi per supportare la propria difesa.

Da segnalare che la Suprema Corte con l'ordinanza 16575 depositata il 2/7/2013 ha affermato un importante principio, se non altro nuovo rispetto al passato. Ha chiarito che per applicare le presunzioni in tema di accertamenti bancari e, in particolare, sui prelevamenti, il giudice di merito deve argomentare le ragioni per le quali non ritiene convincente quanto addotto dal contribuente, non potendosi limitare a generiche considerazioni sul valore delle presunzioni in materia. Questa pronuncia va accolta con estremo favore perché richiama l'attenzione dei giudici di merito sulla necessità di argomentare determinate decisioni ancorché apparentemente sorrette dall'esistenza di una presunzione legale. In questi anni si è spesso assistito da parte dell'amministrazione alla contestazione quasi automatica, di prelevamenti e versamenti rimettendo l'idoneità della giustificazione addotta, al buon senso del verificatore, e, dall'altro da parte dei giudici, alla conferma conseguente della presunzione prevista in materia, senza valutare la fondatezza di tali giustificazioni.

Da ultimo, non va dimenticato che secondo la Cass., 12 dicembre 2003 n. 19062, gli strumenti presuntivi non possono avere effetti automatici contrastanti con il dettato costituzionale, ma richiedono un confronto con la situazione concreta. L’intento del Legislatore è rinvenibile nel fornire agli Uffici finanziari «uno strumento agevolato, non già persecutorio del contribuente infedele, ma finalizzato alla determinazione della reale consistenza del reddito imponibile da lui prodotto, in modo da ragguagliare ad esso l’imposta effettivamente dovuta, nel cui esercizio l’ufficio pubblico è tenuto al pieno rispetto del principio costituzionale della capacità contributiva del soggetto d’imposta (…) nonché di quello che impone la correttezza dell’azione amministrativa».

La Ctr del Piemonte (sentenza n. 150/1/2013) ha ritenuto che la pretesa che ogni singola movimentazione o accredito debba trovare giustificazione contabile documentale non pare sostenibile se la ricostruzione offerta dal contribuente è comunque plausibile e in parte documentata, perché non può chiedersi una prova impossibile o estremamente difficile da reperire quando vi sono concreti indizi e prove documentali di serietà e veridicità delle affermazioni del contribuente.

E ancora la circolare 25/E/2014 ha ribadito che «le presunzioni fissate dalla norma a salvaguardia della pretesa erariale devono essere applicate dall’ufficio secondo logiche di proporzione e ragionevolezza avulse da un acritico automatismo».

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