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RESIDENZA FISCALE DELLE SOCIETA' E DEGLI ENTI

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ARTICOLO - Pubblicato il: 18 marzo 2013 - Da: G. Manzana E. Iori

 

Le norme che regolano la residenza Stando il contenuto del comma 3 dell’art. 73 e dell’art. 5 comma 3 lett. d) del Tuir sono considerati residenti nel territorio dello Stato le società e gli enti che abbiano per la maggior parte del periodo di imposta la sede legale o la sede amministrativa o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

Articolo 73- Soggetti passivi

(…)

3. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato. (…)

4. L'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto.

5. In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l'oggetto principale dell'ente residente è determinato in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti. (…)

Articolo 5 – Redditi prodotti in forma associata

(…)

3. Ai fini delle imposte sui redditi: (…)

d) si considerano residenti le società e le associazioni che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato. L'oggetto principale è determinato in base all'atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, e, in mancanza, in base all'attività effettivamente esercitata. (…)

Legge 31 maggio 1995, n. 218 - Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

TITOLO III - Diritto applicabile

CAPO III - Persone giuridiche

Articolo 25 - Società ed altri enti.

1. Le società, le associazioni, le fondazioni ed ogni altro ente, pubblico o privato, anche se privo di natura associativa, sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. Si applica, tuttavia, la legge italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti.

2. In particolare sono disciplinati dalla legge regolatrice dell'ente:

a) la natura giuridica;

b) la denominazione o ragione sociale;

c) la costituzione, la trasformazione e l'estinzione;

d) la capacità;

e) la formazione, i poteri e le modalità di funzionamento degli organi;

f) la rappresentanza dell'ente;

g) le modalità di acquisto e di perdita della qualità di associato o socio nonché i diritti e gli obblighi inerenti a tale qualità;

h) la responsabilità per le obbligazioni dell'ente;

i) le conseguenze delle violazioni della legge o dell'atto costitutivo.

3. I trasferimenti della sede statutaria in altro Stato e le fusioni di enti con sede in Stati diversi hanno efficacia soltanto se posti in essere conformemente alle leggi di detti Stati interessati.

Ai fini della classificazione di un soggetto diverso dalle persone fisiche come residente o non residente occorre quindi valutare:

1) la localizzazione o meno nel territorio italiano di uno dei seguenti elementi:

− la sede legale,

− la sede amministrativa,

− l’oggetto principale;

2) la durata della presenza di tali elementi nell’arco del periodo di imposta.

Stante il tenore letterale della norma, basta che anche uno solo dei suddetti requisiti sia soddisfatto in quanto tali elementi sono da considerare alternativi tra loro (anche se non sempre sufficienti, se presi singolarmente, per stabilire il luogo effettivo di residenza fiscale della società o dell’ente).

Sede legale: è la sede stabilita nell’atto costitutivo, ed è pertanto irrilevante il luogo di costituzione della società.

Sede amministrativa: è il luogo nel quale gli amministratori esercitano l’attività di gestione della società o ente.

Escluso il primo dei tre elementi discriminanti, quello cioè della sede legale, la cui collocazione territoriale non presenta particolari problematiche (infatti, se l’atto costitutivo o lo statuto stabiliscono in Italia la sede legale di una società od ente, questo sarà da considerarsi residente), meritano invece alcune considerazioni la verifica dei requisiti di collocazione territoriale della sede dell’amministrazione e dell’oggetto principale dell’attività.

Per quanto concerne la sede amministrativa occorre fare riferimento alla situazione di fatto e quindi individuare il luogo dove effettivamente gli amministratori della società esercitano l’attività amministrativa in modo stabile.

Gli elementi che potrebbero maggiormente costituire la prova del concreto svolgimento in Italia dell’amministrazione di società estere parrebbero essere, in genere, i seguenti (in merito si veda anche quanto detto dopo trattando di società ed enti esterovestiti):

-           la presenza nell’organo amministrativo di persone fisiche residenti in Italia, almeno qualora non si possa dimostrare che queste si sono di volta in volta effettivamente recate all’estero per esercitare il proprio mandato;

-           il rinvenimento di documentazione probatoria di una costante e puntuale attività di gestione della società estera, esperita impartendo dettagliate istruzioni direttamente dall’Italia a mezzo fax, corrispondenza commerciale, per via telematica o altro, da parte di soggetti residenti, anche non necessariamente coincidenti con gli amministratori formalmente incaricati ma, di fatto, privi di un effettivo potere gestorio;

-           il rinvenimento di contratti, accordi commerciali o altri documenti costantemente formalizzati in Italia a nome della società estera, talvolta con l’intervento di controparti straniere all’uopo convocate nel territorio dello Stato presso lo studio del legale di fiducia dell’imprenditore italiano, ovvero presso la sede della società controllante o controllata italiana;

-           e così via.

Per ciò che concerne la determinazione dell’oggetto esclusivo o principale dell’ente, dopo le modifiche apportate dal Dlgs 460/1997, la norma individua due criteri.

A norma del comma 4, dell’art. 73 del Tuir il primo di questi criteri previsto per gli enti residenti, è determinato in base a quanto stabilito dalla legge in relazione a detto ente (si pensi ad esempio alle leggi istitutive di nuovi enti pubblici), oppure alle risultanze dell’atto costitutivo o dello statuto. Le risultanze di detti ultimi documenti rilevano se essi sono redatti nelle forme dell’atto pubblico, della scrittura privata autentica o della scrittura privata registrata. Per evitare che il fisco debba attenersi alle risultanze dei sopra citati documenti, l’ultima parte del comma in esame sancisce la rilevanza anche dell’attività in concreto esercitata. Nonostante la struttura della norma ponga questa condizione come ultima, è da pensare che essa sia in realtà da considerare quella principale, in quanto altrimenti il fisco si troverebbe costretto ad attenersi a statuti in cui le attività commerciali sono descritte come secondarie, mentre invece sono di fatto le principali. L’indagine, pertanto, deve attenersi alla sostanza dei fatti, e non alla semplice descrizione formale datane negli atti costitutivi o statuti (Cfr. Corte di Cass. n. 10/4094 ottobre 1991; Corte di Cass. n. 467 del 5 novembre 1992 - dep. 19 novembre 1992).

Il secondo criterio è individuato dal comma 5 dell’art. 73 del Tuir e regola i casi in cui lo statuto o l’atto costitutivo non esistano, prevedendo che in tal caso rilevi esclusivamente l’attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato. Per espressa previsione della norma, questo criterio si applica in ogni caso per gli enti non residenti; per tali soggetti quindi, la norma non rinvia formalmente allo statuto (comma 4), bensì, in senso sostanziale, all’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.

Il Dlgs n. 460 del 1997 ha apportato, infine, un’importante innovazione in relazione alla definizione di oggetto principale o prevalente dell’attività; secondo la nuova disposizione, infatti, per oggetto principale si deve intendere “l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto”: cio` significa che se gli atti indicati prevedono lo svolgimento di piu` attività, di cui solo alcune non commerciali, si deve fare “riferimento all’attività che per lo stesso risulta essere essenziale, vale a dire quella che gli consente il raggiungimento degli scopi primari e che tipicizza l’ente medesimo” (Cfr. Cir. Min. n. 124/E del 12 maggio 1998).

Dell’oggetto principale dell’attività, identificato nei modi suddetti, dovrà essere quindi localizzato il luogo di esercizio, quale elemento discriminante per la determinazione della residenza fiscale della società. Una società con il principale, ovvero l’unico oggetto della propria attività territorialmente localizzato in Italia, parrebbe dover essere quindi considerata come ivi residente ai fini fiscali, anche quando avesse la propria sede legale all’estero. Il caso più frequente ed eclatante parrebbe essere quello delle società holding che, pur avendo sede legale all’estero, partecipassero solo società italiane (in merito si veda anche quanto detto dopo parlando di estero vestizione), ovvero al caso di una società estera il cui unico provento sia costituito da royalty di fonte italiana, ovvero ancora quello analogo di società immobiliari estere il cui unico bene sociale coincidesse con un immobile sito in Italia (diverso, invece, il caso in cui le partecipazioni o gli immobili posseduti siano più di uno e siti in Stati diversi).

Il Ministero ha chiarito che l’esistenza in Italia di una sede secondaria non costituisce residenza della società, ma stabile organizzazione della medesima, con conseguente tassazione dei redditi ivi prodotti in capo alla sede secondaria (Cfr. Ris. n. 9/724 del 18 maggio 1978).

Il Ministero ha escluso che la semplice presenza in Italia di un ufficio di pubbliche relazioni e rappresentanza possa permettere di acquisire la residenza) (Cfr. Ris. n. 9/724 del 18 maggio 1978).

Nei casi in cui si determinasse una situazione di “doppia residenza” fiscale, quale quella che si verifica, per esempio, nel caso citato di società con sede legale all’estero e oggetto principale o unico nel territorio dello Stato, la soluzione dovrà essere trovata, almeno quando siano vigenti norme convenzionali, in ragione del luogo in cui viene amministrata la società, dovendosi rilevare, ancora una volta, come tale elemento (la sede dell’amministrazione) risulti di assoluta e decisiva importanza.

Con risoluzione n. 9/E del 17 gennaio 2006, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta in merito al momento in cui si considera perfezionato il trasferimento della sede legale all’estero specificando che “in mancanza di apposite disposizioni convenzionali, la L. 31 maggio 1995, n. 218, relativa alla riforma del diritto internazionale privato, individua all’art. 25 i seguenti criteri di collegamento tra l’ordinamento italiano e quello dello stato estero:

-           le società sono disciplinate dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato perfezionato il procedimento di costituzione. La legge italiana risulta comunque applicabile nel caso in cui la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale della società sono situati in Italia (art. 25, comma 1). In quest’ultima ipotesi si richiede il necessario adeguamento ai requisiti previsti in Italia dall’ordinamento per le società. Se ne desume che le società straniere che hanno in Italia la sede dell’amministrazione ovvero l’oggetto principale devono sottoporsi a una sorta di “trasformazione giuridica” per conformarsi al nostro ordinamento;

-           il trasferimento della sede legale indicata nello statuto è efficace solo se posto in essere conformemente agli ordinamenti dello Stato di provenienza e dello Stato di destinazione (art. 25, comma 3)”.

Dunque, l’efficacia del trasferimento della sede statutaria è subordinata al duplice rispetto sia delle norme del paese di provenienza sia di quelle del paese di destinazione. Ne consegue che la continuità giuridica della società è condizionata all’ammissibilità del trasferimento nei due ordinamenti.

Muovendo da tale presupposto, l’Agenzia delle Entrate ha concluso che “le conseguenze di ordine fiscale relative al trasferimento in Italia dall’estero o, viceversa, dall’Italia verso l’estero della sede sociale dipendono dalla continuità giuridica o meno dell’ente ai sensi dell’art. 25, comma 3, della L. n. 218 del 1995.

Nella prima ipotesi, qualora il trasferimento in Italia avvenga in condizioni di continuità giuridica, il periodo d’imposta, costituito dall’esercizio sociale, non si interrompe. Pertanto, [...], l’ente risulterà residente in Italia per l’intero esercizio se il trasferimento di sede si è perfezionato prima che sia decorso un numero di giorni inferiore alla metà del periodo d’imposta.

Nell’ipotesi di inefficacia del trasferimento di sede, la società, costituita ex novo secondo l’ordinamento italiano, inizia un nuovo periodo d’imposta e sarà considerata da subito residente, alla stregua delle società neocostituite.

Del pari, in ipotesi di trasferimento in continuità giuridica della sede statutaria dall’Italia in un altro Stato, la società risulterà residente in Italia per tutto il periodo d’imposta, coincidente con l’esercizio, se per la maggior parte dello stesso la sede legale è stata nel territorio dello Stato”.

In base alla lettera d) del primo comma dell’art. 73 del Tuir le società e gli enti di ogni tipo non residenti in Italia sono soggetti passivi Ires indipendentemente dalla circostanza che si tratti di soggetti dotati o privi di personalità giuridica, di enti commerciali o non commerciali. In altre parole un ente non residente e` sempre soggetto Ires, mai soggetto Irpef.

Una specificazione di questo principio e` contenuta nel secondo comma della norma, che fra i soggetti di cui alla lettera d) del primo comma ricomprende espressamente le societa` di persone e le associazioni che, se residenti, ai sensi dell’articolo 5 Tuir sono assoggettate all’Irpef. L’assoggettamento ad Ires delle societa` di persone non residenti consente di superare problemi di accertamento del reddito in capo a soggetti fiscalmente “trasparenti”.

Articolo 73- Soggetti passivi

1. Sono soggetti all'imposta sul reddito delle società: (…)

d) le società e gli enti di ogni tipo compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.

2. Tra gli enti diversi dalle società, di cui alle lettere b) e c) del comma 1, si comprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario e autonomo. Tra le società e gli enti di cui alla lettera d) del comma 1 sono comprese anche le società e le associazioni indicate nell'articolo 5. (…)

Per le società e gli enti non residenti il reddito complessivo è determinato a norma dell’articolo 153 del Tuir.

Articolo 153 - Reddito complessivo

(…)

1. Il reddito complessivo delle società e degli enti non residenti di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 73 è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli esenti dall'imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva.

2. Si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi indicati nell'articolo 23, tenendo conto, per i redditi d'impresa, anche delle plusvalenze e delle minusvalenze dei beni destinati o comunque relativi alle attività commerciali esercitate nel territorio dello Stato, ancorché non conseguite attraverso le stabili organizzazioni, nonché gli utili distribuiti da società ed enti di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 73 e le plusvalenze indicate nell'articolo 23, comma 1, lettera f). (…)

L’esterovestizione

Articolo 73- Soggetti passivi

(…)

5 bis. Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell'articolo 2359 primo comma, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell'articolo 2359 primo comma, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

5 ter. Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 5 bis, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all'articolo 5, comma 5. (…)

Gli ultimi commi dell’art. 73 del Tuir, vale a dire i commi 5-bis e 5-ter, sono stati introdotti dal Dl n. 223 del 2006. Essi individuano, nei casi specificati, una presunzione legale relativa di localizzazione in Italia della sede della amministrazione, e quindi della residenza, di società ed enti, invertendo a loro carico l’onere della prova. L’art. 35 del Dl n. 223 del 2006 stabilisce che la disposizione decorra dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto, vale a dire il 4 luglio 2006.

Come si è avuto modo di vedere, ai sensi dell’art. 73, comma 3 del Tuir, la residenza fiscale delle società e degli enti viene individuata sulla base di tre criteri: la sede legale, la sede dell’amministrazione ed il luogo in cui è localizzato l’oggetto principale. Tali criteri sono alternativi ed è sufficiente che venga soddisfatto anche uno solo di essi perché il soggetto possa considerarsi residente ai fini fiscali nel territorio dello Stato.

In particolare, la sede legale si identifica con la sede sociale indicata nell’atto costitutivo o nello statuto e dà evidenza ad un elemento giuridico “formale”. Diversamente, la localizzazione dell’oggetto principale o l’esistenza della sede dell’amministrazione devono essere valutati in base ad elementi di effettività sostanziale e richiedono – talora – complessi accertamenti di fatto del reale rapporto della società o dell’ente con un determinato territorio, che può non corrispondere con quanto rappresentato nell’atto costitutivo o nello statuto.

In sede internazionale, ed in particolare nelle “osservazioni” contenute nel Commentario all’art. 4 del modello Ocse, l’Amministrazione finanziaria italiana si è - da sempre - preoccupata di salvaguardare i principi di effettività, richiamati nell’ordinamento domestico, ritenendo che la sede della “direzione effettiva” di un ente debba definirsi non soltanto come il luogo di svolgimento della sua prevalente attività direttiva e amministrativa, ma anche come il luogo ove è esercitata l’attività principale.

Coerentemente con quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 136 del 22 gennaio 1958, la sede effettiva della società deve considerarsi come “il luogo in cui la società svolge la sua prevalente attività direttiva ed amministrativa per l’esercizio dell’impresa, cioè il centro effettivo dei suoi interessi, dove la società vive ed opera, dove si trattano gli affari e dove i diversi fattori dell’impresa vengono organizzati e coordinati per l’esplicazione ed il raggiungimento dei fini sociali”.

Il comma 5-bis dell’art. 73 del Tuir viene a collocarsi in questo contesto. Esso consente all’Amministrazione finanziaria di presumere (“salvo prova contraria”) l’esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione di società ed enti che detengono direttamente partecipazioni di controllo in società di capitali ed enti commerciali residenti, quando, alternativamente:

a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, comma 1 del Codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo di gestione equivalente, formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Gli elementi di collegamento con il territorio dello Stato individuati dalla norma sono astrattamente idonei a sorreggere la presunzione di esistenza nel territorio dello Stato della sede dell’amministrazione delle società in esame. Si tratta infatti di elementi già valorizzati nella esperienza interpretativa e applicativa, sia a livello internazionale che nazionale. Essi si ispirano sia a criteri di individuazione dell’effective place of management and control elaborati in sede Ocse, sia ad alcuni indirizzi giurisprudenziali.

La norma prevede, in definitiva, l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, dotando l’ordinamento di uno strumento che solleva l’amministrazione finanziaria dalla necessità di provare l’effettiva sede della amministrazione di entità che presentano molteplici e significativi elementi di collegamento con il territorio dello Stato. In tale ottica la norma persegue l’obiettivo di migliorare l’efficacia dell’azione di contrasto nei confronti di pratiche elusive, facilitando il compito del verificatore nell’accertamento degli elementi di fatto per la determinazione della residenza effettiva delle società. In particolare, essa intende porre un freno al fenomeno delle c.d. esterovestizioni, consistenti nella localizzazione della residenza fiscale delle società in Stati esteri al prevalente scopo di sottrarsi agli obblighi fiscali previsti dall’ordinamento di appartenenza; a tal fine la norma valorizza gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in luogo di quelli formali, in conformità al principio della “substance over form” utilizzato in campo internazionale.

Si è già avuto modo di dire che le disposizioni in esame si applicano alle società ed enti che presentano due rilevanti e continuativi elementi di collegamento con il territorio dello Stato, in quanto:

-           detengono partecipazioni di controllo, di diritto o di fatto ai sensi dell’art. 2359, comma 1 del Codice civile, in società ed enti residenti;

-           sono, a loro volta, controllati anche indirettamente ovvero amministrati da soggetti residenti.

Con riguardo a tale ultima ipotesi, l’Agenzia delle entrate nella Circ. 11/E del 2007 ha avuto modo di dire che:

-           la residenza degli amministratori della società deve essere stabilita sulla base dei criteri previsti dall’articolo 2 del Tuir;

-           la società, inoltre, sarà considerata fiscalmente residente in Italia qualora, per la maggior parte del periodo di imposta, risulti prevalentemente amministrata da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Telefisco 2007 – Circ. 11/E del 16 febbraio 2007

12.3 Esterovestizione: residenza degli amministratori della società estera

D.        I commi 5-bis e 5-ter, dell’art. 73 del Tuir, introdotti dall’art. 35, comma 13, del d.l. n. 223 del 2006, non stabiliscono il momento di riferimento per la verifica della residenza degli amministratori, ai fini della determinazione della residenza fiscale della società. E’ corretto ritenere che, in analogia con il criterio utilizzato per la verifica del “controllo”, si debba fare riferimento alla data di chiusura dell’esercizio della società estera?

R.        Il comma 5-bis dell’art. 73 del Tuir consente all’Amministrazione finanziaria di presumere (“salvo prova contraria”) l’esistenza della sede dell’amministrazione di società ed enti nel territorio dello Stato, nell’ipotesi di detenzione di partecipazioni di controllo ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, del codice civile in società ed enti commerciali residenti (di cui all’articolo 73, comma 1, lettere a) e b) del Tuir), quando, alternativamente:

a) sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato;

b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, od organo di gestione equivalente, formato in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Con riguardo a tale ultima ipotesi, si precisa anzitutto che la residenza degli amministratori della società deve essere stabilita sulla base dei criteri previsti dall’articolo 2 del Tuir. La società, inoltre, sarà considerata fiscalmente residente in Italia qualora, per la maggior parte del periodo di imposta, risulti prevalentemente amministrata da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Il controllo al quale fa riferimento la norma, sia quello a monte sia quello a valle, è quello disciplinato dall’articolo 2359 c.c. In particolare il comma 1 del predetto articolo contiene una nozione ampia di controllo in quanto considera:

-           il controllo di diritto, cioè la maggioranza dei voti in assemblea ordinaria (cosiddetto controllo interno di diritto);

-           il controllo di fatto, cioè il possesso di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante (cosiddetto controllo interno di fatto);

-           il controllo in virtù di particolari vincoli contrattuali (cosiddetto controllo esterno).

Quando la norma fa riferimento al controllo a monte, cioè quello esercitato da parte di un soggetto residente in Italia, fa riferimento anche alle persone fisiche. Per queste il requisito del controllo viene verificato considerando anche i voti spettanti ai familiari ai sensi dell’articolo 5, comma 5, DPR n. 917/1986, ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.

Ai sensi del comma 5-ter, il presupposto per la sussistenza del controllo (dei soggetti residenti sull’entità estera e di questa su società e enti residenti) – e quindi della localizzazione in Italia della sede dell’amministrazione – deve valutarsi con riferimento alla data di chiusura dell’esercizio della entità controllata localizzata all’estero.

Né la norma né la circolare 28/E del 4 agosto 2006 chiariscono se anche la verifica degli amministratori debba essere fatta alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto controllato, così come avviene per il controllo ex articolo 2359 c.c.

La norma è applicabile anche nelle ipotesi in cui tra i soggetti residenti controllanti e controllati si interpongano più sub-holding estere. La presunzione di residenza in Italia della società estera che direttamente controlla una società italiana, renderà operativa, infatti, la presunzione anche per la società estera inserita nell’anello immediatamente superiore della catena societaria; quest’ultima si troverà, infatti, a controllare direttamente la sub-holding estera, considerata residente in Italia.

Si consideri questo esempio:

Si ipotizzi che: S1 controlli S2; S2 controlli S3; S3 controlli S4: in questo caso l’inversione dell’onere della prova opera per S2 e S3. Se viene fornita la prova contraria per S3, la presunzione per S2 non può operare, perché essa non controlla “direttamente” una società residente in Italia. Se viene fornita la prova contraria per S2, la presunzione per S3 continua a operare perché S3 è controllata indirettamente da S1, residente in Italia.

Risulta evidente che in alcuni casi possono sorgere difficoltà anche insormontabili relativamente all’acquisizione della prova. Si pensi infatti al caso in cui l’anello superiore della catena di controllo estera sia una società residente in un paese che non fornisca adeguata pubblicità alle compagini sociali delle società in esso residenti.

Nel suo complesso la previsione normativa vale a circoscrivere l’inversione dell’onere della prova alle ipotesi in cui il collegamento con il territorio dello Stato è particolarmente evidente e continuativo quali, per l’appunto, i casi in cui la gestione dell’attività rimane in Italia ovvero quello quello delle società holding che, pur avendo sede legale all’estero, controllano società italiane. Ovviamente, la norma non preclude all’Amministrazione la possibilità di dedurre – anche in altri casi e assumendosene l’onere – la residenza in Italia di entità estero vestite utilizzano le altre norme del sistema, quali, per esempio, il principio dell’interposizione fittizia di cui al comma 3 dell’art. 37 DPR 600/1973.

In applicazione della norma, il soggetto estero si considera, ad ogni effetto, residente nel territorio dello Stato e sarà quindi soggetto a tutti gli obblighi strumentali e sostanziali che l’ordinamento prevede per le società e gli enti residenti.

A titolo esemplificativo, gli effetti di più immediato impatto per le sub-holding esterovestite riguarderanno:

-           i capital gain realizzati dalla cessione di partecipazioni da assoggettare al regime di imponibilità o di esenzione previsti dagli artt. 86 e 87 del Tuir;

-           le ritenute da operare sui pagamenti di interessi dividendi e royalty corrisposti a non residenti o sui pagamenti di interessi e royalty corrisposti a soggetti residenti fuori del regime di impresa;

-           il concorso al reddito in misura pari al 100 per cento del loro ammontare degli utili di partecipazione provenienti da società residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata.

Al contrario, i predetti soggetti non dovranno subire ritenute sui flussi di dividendi, interessi e royalty in uscita dall’Italia e potranno scomputare in sede di dichiarazione annuale le ritenute eventualmente subite nel periodo di imposta per il quale sono da considerare residenti, anche se – ad inizio - operate a titolo di imposta.

Secondo la cir. 28/E del 4 agosto 2006 “Il contribuente, per vincere la presunzione, dovrà dimostrare con argomenti adeguati e convincenti, che la sede di direzione effettiva della società non è in Italia, bensì all’estero. Tali argomenti e prove dovranno dimostrare che, nonostante i citati presupposti di applicabilità della norma, esistono elementi di fatto, situazioni od atti, idonei a dimostrare un concreto radicamento della direzione effettiva nello Stato estero”.

Come chiarito dal paragrafo 24 del Commentario all’articolo 4 del Modello OCSE, al fine di determinare la sede di direzione effettiva, non è possibile stabilire una regola precisa, ma devono essere presi in considerazione tutti i fatti e le circostanze. Coerentemente con quanto affermato nel Commentario, l’Amministrazione finanziaria ha da sempre sostenuto, fornendo sul punto un chiarimento nelle “osservazioni” contenute nel Commentario all’articolo 4 del Modello OCSE, che per determinare la sede della direzione effettiva di un ente non si deve fare esclusivo riferimento al luogo di svolgimento della prevalente attività direttiva e amministrativa, ma occorre prendere in considerazione anche il luogo ove è esercitata l’attività principale (Cfr. Ris. Ag. delle entrate del 5 novembre 2007, n. 312/E).

Nella normalità dei casi, le società interessate dovranno limitarsi a conservare la documentazione probatoria che l'attività di amministrazione e direzione dell'ente si svolge effettivamente all'estero. A questo proposito, si osserva che nel caso di holding statiche o di società il cui scopo è la mera detenzione di beni o crediti senza che vi sia svolta una effettiva attività economica non hanno bisogno di particolari strutture produttive per lo svolgimento dell'attività. Non è quindi possibile presumere che la sede dell'amministrazione non sia nello Stato in cui la società ha sede legale solo per il fatto che in tale Stato non vi sia impiego di dipendenti, di locali, di arredi, e che dal bilancio non risultino utenze elettriche, telefoniche, eccetera. In questo senso si veda la Cassazione, Sezione penale, n. 1156 del 19 aprile 2000. La stessa sentenza attribuisce rilevanza determinante alla circostanza che le assemblee sociali (ma si deve intendere anche i consigli d'amministrazione e i comitati esecutivi, ove tali organi abbiano poteri decisionali) siano tenute all'estero.

Cassazione, Sezione penale, n. 1156 del 19 aprile 2000.

La sentenza è relativa al caso di una S.r.l. alla quale veniva contestato di avere una sede nel territorio extra doganale di Livigno con il fine di evitare l’imposizione fiscale derivante dai diritti doganali e dall’Iva.

I presupposti della contestazione si basavano unicamente su elementi quali le utenze dell’energia elettrica e l’assenza di dipendenti.

La difesa, invece, sosteneva che considerare solamente questi elementi era errato in quanto derivava dall’errata interpretazione della norma che disciplina la sede delle persone giuridiche. Al riguardo l’articolo 46 del codice civile stabilisce che “quando la legge fa dipendere determinati effetti dalla residenza o dal domicilio, per le persone giuridiche si ha riguardo al luogo in cui è stabilita la loro sede” (comma 1) e che se la sede legale è diversa dalla sede effettiva i terzi possono considerare quest’ultima (comma 2).

La sentenza obietta che non è possibile affermare che la sede legale non coincide con quella effettiva basandosi solamente su elementi come le utenze telefoniche e l’assenza di dipendenti;occorre considerare aspetti sostanziali quali:

- il luogo dove si svolgono in concreto le attività amministrative e di direzione dell’ente;

- il luogo dove si convocano le assemblee;

- il luogo dove vengono stipulati i contratti;

- il luogo dove avvengono le operazioni bancarie.

Secondo l’Amministrazione finanziaria la dimostrazione della “prova contraria” sulla base non solo del dato documentale, ma anche sulla base di tutti gli elementi concreti da cui risulti, in particolare, il luogo in cui le decisioni strategiche, la stipulazione dei contratti e le operazioni finanziarie e bancarie siano effettivamente realizzate, è peraltro essenziale per permettere quella valutazione caso per caso necessaria al fine di garantire la proporzionalità della norma rispetto al fine perseguito, a mitigare la portata generale della disposizione antielusiva in questione e, pertanto, a confermare la compatibilità della stessa con la normativa comunitaria (Cfr. Ris. Ag. delle entrate del 5 novembre 2007, n. 312/E).

E’ opportuno, allora, che:

-           di fatto le decisioni sull'attività societaria siano prese nello stesso luogo in cui si riuniscono gli organi societari: il consiglio d'amministrazione e l'assemblea, cioè, non devono limitarsi ad approvare formalmente decisioni prese, in altra sede, dai soci italiani o da dirigenti della società muniti di poteri esecutivi (Cfr. Ocse, Place of Effective management concept, maggio 2003).

-           se la società non dispone di locali e dipendenti all’estero dovrebbe porre in essere contratti di outsourcing per le attività di carattere amministrativo;

-           la società non attribuisca poteri di elevata caratura agli amministratori italiani;

-           non venga fatto eccessivo ricorso a fax o e-mail dall’Italia verso l’estero, che potrebbero dimostrare che le decisioni strategiche vengono prese in Italia.

La difesa del contribuente: il test per dimostrare che la sede estera non nasce al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali secondo i principi stabiliti dalla sentenza della Corte di Giustizia nel caso Cadbury Schweppes.

Per bloccare eventuali pretese dell'Amministrazione finanziaria, il contribuente dovrebbe predisporre una documentazione idonea e convincente, adatta a "vestire" formalmente i principi stabiliti dalla sentenza della Corte di Giustizia nel caso Cadbury Schweppes. In altri termini, il contribuente può, almeno in linea di principio, prevenire il rischio di verifica in tema di residenza fiscale di società localizzate all'estero dimostrando che:

- non ha costituito società estere per esclusive finalità tributarie (le cosiddette "società fantasma");

- le società estere svolgono realmente attività d'impresa;

- le legal entities sono dotate di autonoma organizzazione.

In tal senso, soccorre, nel l'ambito di apposita policy sulla gestione delle società partecipate estere, la dimostrazione dei seguenti tre test:

- esistenza di un'effettiva attività imprenditoriale (industriale, commerciale, di servizi) svolta in loco ("business activity test");

- esistenza di effettiva e idonea organizzazione di uomini e mezzi ("organization test");

- valutazione (e rappresentazione) delle ragioni dell'esercizio di attività d'impresa all'estero mediante specifiche legal entities ("motive test").

L'"esterovestizione" di fonti di reddito astrattamente imponibili in Italia, o di attività d'impresa suscettibili di produrre imponibili nel nostro Paese, può essere più o meno consapevolmente posta in essere dal contribuente italiano (sia esso rappresentato da un gruppo oppure da una piccola o media impresa).

L'utilizzo artificioso e strumentale (quindi, consapevole) di legal entities localizzate all'estero, giustificate da motivazioni unicamente fiscali, comporta per il contribuente «esterovestito» rischi derivanti da eventuali verifiche fiscali sulle società partecipate estere, e l'eventuale attuazione di rimedi tesi a rimpatriare o estinguere la società esterovestita. Diversamente, se si è in presenza di effettiva ragione economica e non si hanno strutture imprenditoriali «di puro artificio» localizzate all'estero, la "inconsapevole" esterovestizione dovrebbe essere adeguatamente supportata da idonea documentazione probatoria, predisposta dal contribuente in via preventiva.

Secondo l'orientamento della giurisprudenza comunitaria, l'esistenza di abusi deve in ogni caso risultare da situazioni obiettive la cui esistenza deve essere verificata caso per caso (sentenza 12 settembre 2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes plc e Cadbury Schweppes Overseas Ltd.).

La constatazione dell'esistenza di una costruzione puramente artificiosa (nel senso inteso dalla citata sentenza Cadbury Schweppes) richiede, infatti, oltre alla volontà del contribuente di conseguire un vantaggio fiscale, anche elementi di fatto (esercizio di effettiva attività d'impresa mediante una reale organizzazione di uomini e mezzi) dai quali appaia inequivocabilmente che, nonostante il rispetto formale dell'ordinamento comunitario, viene "tradito" lo spirito sottostante al principio della libertà di stabilimento (in tal senso: sentenze 14 dicembre 2000, causa C-110/99, Emsland-Stärke; 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., oltre alla citata Cadbury Schweppes).

In altri termini, la costituzione di enti giuridici deve corrispondere a un insediamento reale che abbia per oggetto l'espletamento di attività economiche effettive nello Stato membro di stabilimento.

Se la verifica dei questi elementi portasse a constatare che la società corrisponde a un'installazione fittizia, che non esercita alcuna attività economica effettiva sul territorio dello Stato membro di stabilimento, la creazione di tale legal entity dovrebbe essere ritenuta costruzione di puro artificio.

In merito al momento in cui il contribuente deve fornire la prova, la Ris. dell’Agenzia delle entrate del 5 novembre 2007, n. 312/E, ha avuto modo di dire che la prova contraria necessaria per superare la presunzione di esterovestizione può essere offerta nella competente sede di accertamento e non tramite la procedura di interpello disapplicativo di cui all’articolo 37-bis, comma 8, del Dpr n. 600/1973. Ciò non solo perché la predetta dimostrazione è prevalentemente basata su elementi di fatto non agevolmente desumibili dalla documentazione su cui normalmente è incentrata l’analisi preventiva in sede di interpello, ma anche perché la procedura ex articolo 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973 è in genere esperibile per la disapplicazione di norme che incidono in maniera diretta ed immediata sul quantum dell’obbligazione tributaria, ossia di norme che “limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario” e che per ciò stesso, a differenza della norma recata dall’articolo 73, comma 5-bis che incide sulla soggettività passiva, impattano direttamente sulla determinazione del debito tributario.

Merita, infine, precisare in quali termini la disposizione del nuovo comma 5-bis dell’art. 73 del Tuir può interferire sulla applicabilità del successivo art. 167 del Tuir, nell’ipotesi in cui un soggetto residente controlli una società o un ente residente o localizzato in Stati o territori a fiscalità privilegiata che, a sua volta, detenga partecipazioni di controllo in società di capitali o enti commerciali residenti in Italia.

È evidente che la presunzione di residenza nel territorio dello Stato dell’entità estera rende – in punto di principio – inoperante la disposizione dell’art. 167 del Tuir. Non sarà imputabile al soggetto controllante il reddito che la controllata stessa, in quanto residente, è tenuta a dichiarare in Italia. Qualora, tuttavia, sia fornita la prova contraria, atta a vincere la presunzione di residenza in Italia, la controllata non residente rimane attratta – ricorrendone le condizioni – alla disciplina dell’art. 167 del Tuir. In altri termini, il reddito della controllata estera non assoggettato a tassazione in Italia in dipendenza del suo – comprovato – status di società non residente resta imputabile per trasparenza al soggetto controllante ai sensi del citato art. 167 del Tuir. L’effettiva localizzazione della sede della amministrazione della controllata estera fuori del territorio dello Stato e quindi la sua autonomia decisionale e di gestione non escludono, infatti, che il suo reddito sia da considerare nella disponibilità economica del controllante residente.

La residenza del trust

La residenza del trust è individuata, con taluni adattamenti che tengono conto della natura dell’istituto, secondo i criteri generali utilizzati per fissare la residenza dei soggetti di cui all’art. 73 del Tuir.

Articolo 73 - Soggetti passivi

1. Sono soggetti all'imposta sul reddito delle società: (…)

b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per (…)

d) le società e gli enti di ogni tipo compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato. (…)

3. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato. Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, in cui almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato diverso da quelli di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze emanato ai sensi dell'articolo 168-bis, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi. (…)

Ai sensi del comma 3 di tale articolo, un soggetto Ires si considera residente nel territorio dello Stato al verificarsi di almeno una delle condizioni sotto indicate per la maggior parte del periodo di imposta:

-           sede legale nel territorio dello Stato;

-           sede dell’amministrazione nel territorio dello Stato;

-           oggetto principale dell’attività svolta nel territorio dello Stato.

Considerando le caratteristiche del trust, di norma i criteri di collegamento al territorio dello Stato sono la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale.

Il primo di essi (la sede dell’amministrazione) risulterà utile per i trust che si avvalgono, nel perseguire il loro scopo, di un’apposita struttura organizzativa (dipendenti, locali, ecc.). In mancanza, la sede dell’amministrazione tenderà a coincidere con il domicilio fiscale del trustee.

Il secondo criterio (l’oggetto principale) è strettamente legato alla tipologia di trust. Se l’oggetto del trust (beni vincolati nel trust) è dato da un patrimonio immobiliare situato interamente in Italia, l’individuazione della residenza è agevole; se invece i beni immobili sono situati in Stati diversi occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari o misti l’oggetto dovrà essere identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata.

Per individuare la residenza di un trust si potrà fare utile riferimento alle convenzioni per evitare le doppie imposizioni. Come è noto, le convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni si applicano alle persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti che, in qualità di soggetti passivi d’imposta, subiscono una doppia imposizione internazionale. È possibile che i trust diano luogo a problematiche di tassazione transfrontaliera con eventuali fenomeni di doppia imposizione o, all’opposto, di elusione fiscale. Un trust, infatti, può realizzare il presupposto impositivo in più Stati, quando, ad esempio, il trust fund sia situato in uno Stato diverso da quello di residenza del trustee e da quello di residenza del disponente e dei beneficiari.

Annoverato, a seguito della modifica dell’art. 73 del Tuir, tra i soggetti passivi d’imposta, ai fini convenzionali il trust deve essere considerato come “persona” (“una persona diversa da una persona fisica” di cui all’art. 4, comma 3, modello Ocse di convenzione per evitare le doppie imposizioni) anche se non espressamente menzionato nelle singole convenzioni. L’unica convenzione che espressamente comprende i trust tra le persone cui si applica la convenzione è quella sottoscritta dall’Italia con gli Stati Uniti d’America.

La nuova disciplina fiscale contiene, altresì, disposizioni che mirano a contrastare possibili fenomeni di fittizia localizzazione dei trust all’estero, con finalità elusive. Al riguardo, il comma 3 dell’articolo 73 del Tuir, introduce due casi di attrazione della residenza del trust in Italia:

1.         Si considerano residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni (paesi non inclusi nella cosiddetta “white list” approvata con decreto del Ministro delle Finanze 4 settembre 1996 e successive modificazioni) quando almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. La Legge n. 244 del 2007 ha previsto l’emanazione di una nuova “white list” ai sensi dell'art. 168-bis del Tuir.

La norma menziona gli “istituti aventi analogo contenuto” a quello di un trust. Si è voluto in questo modo tenere conto della possibilità che ordinamenti stranieri disciplinino istituti analoghi al trust ma assegnino loro un “nomen iuris” diverso. Per individuare quali siano gli istituti aventi contenuto analogo si deve fare riferimento agli elementi essenziali e caratterizzanti dell’istituto del trust.

E’ rilevante, inoltre, stabilire in quale momento la residenza fiscale di un disponente e di un beneficiario attrae in Italia la residenza fiscale del trust. In primo luogo, non sembra necessario che la residenza italiana del disponente e del beneficiario sia verificata nello stesso periodo d’imposta. Infatti la residenza del disponente, in considerazione della natura istantanea dell’atto di disposizione, rileva nel periodo d’imposta in cui questi ha effettuato l’atto di disposizione a favore del trust. Eventuali cambiamenti di residenza del disponente in periodi d’imposta diversi sono irrilevanti.

Per la parte riguardante il beneficiario, la norma è applicabile ai trust con beneficiari individuati. La residenza fiscale del beneficiario attrae in Italia la residenza fiscale del trust anche se questa si verifica in un periodo d’imposta successivo a quello in cui il disponente ha posto in essere il suo atto di disposizione a favore del trust. Ai fini dell’attrazione della residenza in Italia è, infine, irrilevante l’avvenuta erogazione del reddito a favore del beneficiario nel periodo d’imposta.

2.         Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato che non consente lo scambio di informazioni quando, successivamente alla costituzione, un soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà di un bene immobile o di diritti reali immobiliari ovvero costituisca a favore del trust dei vincoli di destinazione sugli stessi beni e diritti.

In tal caso, è proprio l’ubicazione degli immobili che crea il collegamento territoriale e giustifica la residenza in Italia.

Nelle due ipotesi considerate dalla norma, la residenza è attratta in Italia nel presupposto che il trust sia “istituito” in un Paese con il quale non è attuabile lo scambio di informazioni.

La norma vuole evidentemente colpire disegni elusivi perseguiti attraverso la collocazione fittizia di trust “interni” (trust con disponente, beneficiario e beni in trust nel territorio dello Stato) in paesi che non consentano lo scambio di informazioni.

In buona sostanza, ai fini dell’attrazione della residenza, rileva il fatto che un trust, caratterizzato da elementi collegati con il territorio italiano (un disponente e un beneficiario residente o immobili siti in Italia e conferiti da un soggetto italiano) sia “istituito” ossia abbia formalmente fissato la residenza in un paese non incluso nella white list.

Come conseguenza della presunzione di residenza fiscale nel territorio dello Stato, tutti i redditi del trust, ovunque prodotti, sono imponibili in Italia secondo il principio del world wide income.

Al contrario, per i trust non residenti, l’imponibilità in Italia riguarda solo i redditi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 23 del Tuir.

Si ricorda che, fino all’emanazione della nuova white list ai sensi dell'articolo 168-bis del Tuir, sono compresi nella vigente white list i seguenti Paesi:

Albania; Algeria; Argentina; Australia; Austria; Azerbajan; Bangladesh; Belgio; Bielorussia; Brasile; Bulgaria; Canada; Cina; Corea del Sud; Costa d'Avorio; Croazia; Danimarca; Ecuador; Egitto; Emirati Arabi Uniti; Estonia; Federazione Russa; Filippine; Finlandia; Francia; Germania; Giappone; Grecia; India; Indonesia; Irlanda; Israele; Jugoslavia; Kazakistan; Kuwait; Lituania; Lussemburgo; Macedonia; Malta; Marocco; Mauritius; Messico; Norvegia; Nuova Zelanda; Paesi Bassi; Pakistan; Polonia; Portogallo; Regno Unito; Repubblica Ceca; Repubblica Slovacca; Romania; Singapore; Slovenia; Spagna; Sri Lanka; Stati Uniti; Sud Africa; Svezia; Tanzania; Thailandia; Trinidad e Tobago; Tunisia; Turchia; Ucraina; Ungheria; Venezuela; Vietnam; Zambia.

In entrambi i casi di attrazione in Italia di trust non residenti, la norma opera una presunzione relativa di residenza; rimane quindi la possibilità per il contribuente di dimostrare l’effettiva residenza fiscale del trust all’estero.

Ove compatibili, anche le disposizioni in materia di estero-vestizione delle società previste dall’art. 73 del Tuir, commi 5-bis e 5-ter, sono applicabili ai trust ed in particolare a quelli istituiti o comunque residenti in Paesi compresi nella white list, per i quali non trova applicazione la specifica presunzione di residenza di cui all’articolo 73, comma 3 del Tuir nella versione emendata dalla Legge n. 296 del 2007.

L’esterovestizione per i fondi immobiliari

Il Dl n. 112 del 2008 introduce nel Tuir una disciplina volta a contrastare la collocazione strumentale di società all'estero per sottrarsi all'imposizione in Italia, estendendo l'ambito di applicazione alla detenzione di quote di fondi immobiliari.

Articolo 73 - Soggetti passivi

(…)

5-quater. Salvo prova contraria, si considerano residenti nel territorio dello Stato le società o enti che detengano più del 50 per cento delle quote dei fondi di investimento immobiliare chiusi di cui all'articolo 37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e siano controllati direttamente o indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia. Il controllo e' individuato ai sensi dell'articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile, anche per partecipazioni possedute da soggetti diversi dalle società. (…)

La presunzione di residenza opera solo se si verificano entrambi i presupposti:

1. patrimonio investito in misura prevalente in quote di fondi immobiliari italiani;

2. controllo della società o ente estero da parte di soggetti residenti.

Con il maxiemendamento, il presupposto (originariamente previsto dalle disposizioni del Dl n. 112 del 2008) della detenzione di più del 50% delle quote di un fondo, peraltro facilmente aggirabile e potenzialmente applicabile a fattispecie non elusive, viene sostituito con il requisito della "prevalenza". Tale previsione da un lato si rende la norma potenzialmente applicabile a prescindere dalla soglia di partecipazione al fondo del soggetto non residente; dall'altro fa sì che la presunzione non operi per quelle società estere che non si limitino a investire in un fondo immobiliare italiano, ma detengano, in prevalenza, ulteriori tipologie di investimento (holding estere "vere" che detengono anche altri investimenti).

In merito al secondo presupposto, vale a dire il controllo da parte di soggetti residenti, si noti che a differenza dell'articolo 73, comma 5-bis del Testo unico – che prevede una presunzione di localizzazione in Italia della sola sede dell'amministrazione della società estera – la norma in commento attribuisce direttamente la residenza italiana al soggetto estero, senza ancorarla ad alcuno dei criteri alternativi previsti dal comma 3. Pertanto, al fine di superare la presunzione di residenza in Italia, il soggetto non residente dovrà dimostrare che, oltre alla sede legale, sono all'estero sia l'oggetto principale dell'attività esercitata, sia la sede dell'amministrazione, ferma restando l'applicabilità delle convenzioni contro le doppie imposizioni.

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