LA TRASFORMAZIONE D'AZIENDA: ASPETTI CIVILISTICI
ARTICOLO - Pubblicato il: 1 gennaio 2016 - Da: G. Manzana E. Iori
Aspetti introduttivi Dal punto di vista civilistico la trasformazione configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali che ad esso fanno capo (Cass. Civ., n. 13434 del 13 settembre 2002; n. 5963 del 23 aprile 2001; n. 11077 del 4 novembre 1998,).
In dottrina è ormai tradizione richiamare l’efficace distinzione tra “operazioni sui beni”, che hanno a oggetto i beni dell’impresa, e “operazioni sui soggetti”, che attengono non ai beni dell’impresa, ma all’ente stesso titolare dei suddetti beni e al contratto sociale o associativo (Sul punto si veda Fantozzi e Lupi, Le società per azioni nella disciplina tributaria, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, Torino, Utet, 1993, p. 33 ss. 2 Cfr. Fantozzi e Lupi, op. cit., p. 154 ss.).
Le operazioni sui beni (cessioni, conferimenti ecc.) comportano – in genere – modifiche ai valori fiscalmente riconosciuti e conseguentemente il manifestarsi di componenti positivi e negativi di reddito, giacché con esse si dà atto a uno scambio di beni, in cui è possibile riconoscere la figura del tradens e quella dell’accipiens.
Al contrario, le operazioni sui soggetti (trasformazioni, fusioni, scissioni) escludono modifiche ai precedenti valori fiscalmente riconosciuti ai beni dell’impresa, in quanto, non incidendo su detti beni, non comportano alcuna sostituzione nel patrimonio dell’impresa e consentono di norma di mantenere la continuità nei valori fiscalmente riconosciuti. Le operazioni sui soggetti si risolvono, infatti, nel mero cambiamento della modalità organizzativa nonché della disciplina giuridica caratterizzante i soggetti interessati4 attuato mediante la modifica dell’atto costitutivo previa delibera dell’assemblea dei soci. Esse non comportano pertanto alcuna soluzione di continuità nella vita delle società interessate, né tanto meno alcun trasferimento di ricchezza da un’entità all’altra (né diretto né mediato), non realizzandosi alcuna vicenda estintiva-costitutiva dell’ente, bensì un mero mutamento del regime legale applicabile.
Che regola sono gli articoli che vanno dal 2498 al 2500-novies del Codice civile.
Tali disposizioni trattando delle trasformazioni:
- omogenee e eterogenee, vale a dire, rispettivamente, delle trasformazioni nell’ambito di soggetti societari e da soggetti societari in soggetti non societari (e viceversa);
- (nell’ambito delle trasformazioni omogenee) evolutive e involutive (anche chiamate progressive e regressive), vale a dire delle trasformazioni da società di persone in società di capitali e da società di capitali in società di persone.
Nell’intervento che segue si tratta unicamente della trasformazione omogenea.
Nella pratica il “passaggio” dalla società di persone a impresa individuale o da impresa individuale a società viene definito impropriamente “trasformazione”.
In merito è stato affermato che:
- “l’imprenditore individuale (……) altro non può che conferire l’azienda di pertinenza dell’impresa di cui è titolare in una società, esistente o da costituire” (De Angelis, La trasformazione delle società: profili generali, in Schiano di Pepe (a cura di); Trasformazione, fusione, scissione, opa, società quotate, in Trattato teorico pratico delle società, Ipsoa, Milano, 1999, pag. 14 e seguenti);
- “in caso di conferimento di un’azienda individuale ad una società (….) si verifica un fenomeno traslativo non soggetto alla disciplina dell’art. 2498 del Codice civile” (Cass. 10 marzo 1990, n. 1963);
- “lo scioglimento della società di persone, per mancata ricostruzione della pluralità dei soci nel termine semestrale, non comporta alcuna modificazione soggetti delle strutture giuridiche attive e passive facenti capo alla società, che si concentrano nell’unico socio rimasto dal momento in cui la pluralità medesima viene meno. Decorsi i sei mesi senza che sia stata ricostruita la pluralità dei soci, la società si scioglie e ed entra la fase di liquidazione, un modo particolare si ha quando il socio supersite estingue la società, decidendo di continuare, quale imprenditore individuale, l’esercizio dell’attività estinta” (Cass., sent. n. 905 del 6 febbraio 1984);
- “con il venir meno della pluralità dei soci, la società perde il carattere societario e si trasforma in impresa individuale con la concentrazione della titolarità dei rapporti, già facenti capo alla società, nel socio residuo, che , quale imprenditore individuale, risponde personalmente delle obbligazioni già sociali” (Cass,. n. 2226 del 16 marzo 1996).
- l’operazione di trasformazione presuppone che si passi da un "ente" a un altro "ente" societario, e che, quindi, non è ammissibile la "trasformazione" di una società unipersonale in impresa individuale (Cass. sent. n. 496 del 2015)
La tesi della trasformabilità di una società in una ditta individuale è sostenuta invece dai notai del Triveneto massima K.A.37, e dal Consiglio nazionale del Notariato nello studio 545-2014.
Imposizione diretta e indiretta
Ciò assume conseguenze piuttosto significative sia per le imposte indirette che per le imposte dirette. Il primo ambito, che è quello che più interessa al lettore, è stato affrontato nella risoluzione 47/E del 3 aprile 2006, dove si afferma: «Pertanto, la scrivente ritiene che la cosiddetta continuazione dell’impresa in forma individuale sia sempre preceduta dallo scioglimento della società e dalla liquidazione della medesima». Conseguenza pratica di questa impostazione è che il trasferimento dell’azienda dalla società all’impresa individuale realizza un'assegnazione sottoponibile a imposta di registro nella misura stabilita per ciascun bene o diritto assegnato. Nel caso in questione, pertanto, l’assegnazione degli immobili si dovrà tassare con imposta di registro in misura fissa (200 euro) e con le imposte ipotecarie e catastali in misura proporzionale (complessivamente pari al 4 per cento), applicate sul valore normale di commercio degli immobili "assegnati" all’imprenditore individuale. Ai fini delle imposte sul reddito, la circolare 54/E del 19 giugno 2002 (risposta n. 5) esclude, invece, l’emersione di qualunque plusvalenza, a condizione che il socio superstite continui l’attività sotto forma di impresa individuale, mantenendo inalterati i valori dei beni. In particolare prevede che:
- lo scioglimento della società non da luogo ad alcuna emersione di plusvalenza imponibile in relazione ai beni oggetto dell’attività d’impresa a condizione che il socio superstite imprenditore mantenga inalterati i valori dei beni;
- l’eventuale somma percepita dai soci uscenti, rappresenta, per la parte che eccede il costo d’acquisto delle quote, reddito di capitale tassabile ai sensi dell’art. 47, comma 7 del TUIR.
Aspetti comuni alle operazioni di trasformazione
La norma di legge evidenzia subito quattro aspetti comuni a tutte le operazioni di trasformazione:
1) Continuità dei rapporti giuridici
L’art. 2498 del Codice civile prevede che l’ente trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell’ente che ha effettuato la trasformazione. Viene dato risalto alla continuità dei rapporti giuridici intesa appunto come segno di una prospettiva di modificazione e non novativa-successoria (chiarendo altresì che la continuazione riguarda anche i rapporti processuali).
2) Limiti alla trasformazione
Viene disposto che la condizione di sottoposizione a procedura concorsuale (art. 2499 del Codice civile) sia compatibile con la procedura, nel senso che può farsi luogo, salve le ipotesi in cui concretamente tale compatibilità con le finalità o lo stato della procedura non sussista, anche alla trasformazione in presenza di procedure concorsuali. La trasformazione, anzi, può realizzare un vantaggio per l’impresa sociale: si pensi alla trasformazione di società per azioni in società a responsabilità limitata al fine di ridurre gli oneri di procedura.
3) Contenuto, pubblicità ed efficacia dell’atto di trasformazione
La decisone viene presa con deliberazione dei soci. Le disposizioni (art. 2500 del Codice civile) richiedono che vi siano tutte le forme ed i contenuti richiesti per il tipo societario o non societario adottato. L’efficacia decorre, per consentire la corretta informazione dei terzi, dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari.
Lo scopo principale della norma è quello di evitare che ricorrendo alla trasformazione vengano elusi alcuni degli adempimenti che il codice civile richiede per la costituzione di una società di capitali.
Forma
In primo luogo è necessario che l’atto di trasformazione assuma forma dell’atto pubblico, potendo le società di capitali essere costituite solo in tal modo.
Contenuto
In secondo luogo è necessario che la delibera di trasformazione contenga tutte le indicazioni prescritte dalla legge per l’atto costitutivo del tipo di società adottato.
Pertanto, nel caso in cui la società che risulti dalla trasformazione sia una società per azioni occorre indicare:
1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza dei soci, nonché il numero delle azioni assegnate a ciascuno di essi;
2) la denominazione e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie;
3) l'attività che costituisce l'oggetto sociale;
4) l'ammontare del capitale sottoscritto e di quello versato (il capitale minimo richiesto per la costituzione di una società per azioni è attualmente pari a 120.000 euro);
5) il numero e l'eventuale valore nominale delle azioni, le loro caratteristiche e le modalità di emissione e circolazione;
6) il valore attribuito ai crediti e beni conferiti in natura;
7) le norme secondo le quali gli utili devono essere ripartiti;
8) i benefici eventualmente accordati ai promotori o ai soci fondatori;
9) il sistema di amministrazione adottato, il numero degli amministratori e i loro poteri, indicando quali tra essi hanno la rappresentanza della società;
10) il numero dei componenti il collegio sindacale;
11) la nomina dei primi amministratori e sindaci ovvero dei componenti del consiglio di sorveglianza e, quando previsto, del soggetto al quale è demandato il controllo contabile;
12) l'importo globale, almeno approssimativo, delle spese per la costituzione poste a carico della società;
13) la durata della società ovvero, se la società è costituita a tempo indeterminato, il periodo di tempo, comunque non superiore ad un anno, decorso il quale il socio potrà recedere.
Nel caso in cui la società che risulti dalla trasformazione sia una società in accomandita per azioni, oltre alle informazioni di cui sopra, è necessario che dall’atto costitutivo risultino i nomi dei soci accomandatari.
Se la società che risulta dalla trasformazione è una società a responsabilità limitata, infine, è necessario che l’atto costitutivo indichi:
1) il cognome e il nome o la denominazione, la data e il luogo di nascita o lo Stato di costituzione, il domicilio o la sede, la cittadinanza di ciascun socio;
2) la denominazione, contenente l'indicazione di società a responsabilità limitata, e il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie;
3) l'attività che costituisce l'oggetto sociale;
4) l'ammontare del capitale, non inferiore a diecimila euro, sottoscritto e di quello versato;
5) i conferimenti di ciascun socio e il valore attribuito ai crediti e ai beni conferiti in natura;
6) la quota di partecipazione di ciascun socio;
7) le norme relative al funzionamento della società, indicando quelle concernenti l'amministrazione, la rappresentanza;
8) le persone cui è affidata l'amministrazione e gli eventuali soggetti incaricati del controllo contabile;
9) l'importo globale, almeno approssimativo, della spese per la costituzione poste a carico della società.
Nel predisporre la delibera si dovrà in particolare tenere conto:
- Del capitale minimo prescritto dalla legge per il tipo di società risultante dalla trasformazione: occorre pertanto che il patrimonio netto valutato dal perito sia almeno pari al minimo del capitale sociale richiesto dalla legge per tale società; se è inferiore occorre procedere ad un aumento di capitale sociale.
- Del fatto che si deve dotare la società che risulta dall’operazione di un oggetto sociale compatibile con il tipo scelto, dato che vi sono alcune attività che possono essere svolte solo da particolari tipi societari: ad esempio l’attività bancaria può essere svolta solo da società per azioni, società cooperative a responsabilità limitata e società cooperative per azioni, oppure l’attività assicurativa può essere svolta solo da società per azioni, società cooperative a responsabilità limitata e mutue assicuratrici.
- Del fatto che in taluni casi possono essere necessarie delle autorizzazioni governative all’esercizio dell’attività prescelta (es: attività di assicurazione e bancarie).
Una delle condizioni poste dal codice civile per la costituzione delle società di capitali è il versamento del 25% dei conferimenti in denaro: ci si può chiedere se, per l’efficacia della trasformazione, sia necessario il versamento di una pari percentuale del capitale sociale di cui si vuole dotare la società che risulta dalla trasformazione.
Se si pensa che il versamento dei decimi in sede di costituzione è richiesto per dotare subito l’ente di un capitale sociale disponibile per le prime operazioni sociali e per rendere più sicura l’esazione dei decimi residui, sembra di poter affermare che per la validità della trasformazione non sia necessario il versamento dei decimi del capitale sociale richiesto dalla legge, dato che nella trasformazione il capitale della società che risulta dall’operazione (che costituisce la garanzia per i terzi) è già presente nel patrimonio sociale ed è il capitale della società che si trasforma, come risulta dalla valutazione del perito.
Occorre peraltro evidenziare che in passato la giurisprudenza si è pronunciata per la necessità del versamento dei decimi richiesti dalla legge.
Si ritiene che non sia necessario il versamento dei decimi neppure nel caso in cui nel bilancio della società di persone siano presenti dei crediti verso soci per versamenti di capitale sociale ancora dovuti: tali crediti, infatti, sono già stati inseriti nel patrimonio sociale e valutati dal perito, il quale, ove si fossero manifestati irrecuperabili, avrebbe per un pari importo diminuito il patrimonio netto stimato.
La necessità del versamento dei decimi richiesti dalla legge sembra invece ricorrere nel caso in cui contestualmente alla sottoscrizione venga deliberato e sottoscritto un aumento del capitale sociale della società di capitali che risulta dalla trasformazione, visto che in tal caso si manifestano le stesse esigenze riepilogate in precedenza per il versamento dei decimi del capitale sociale in sede di costituzione di società di capitali; chiaramente sarà necessario il versamento dei decimi sul solo importo dell’aumento del capitale sociale, e non su tutto il suo importo finale.
In tal caso si ritiene che il versamento possa essere eseguito direttamente nelle casse sociali (e non presso una banca, come invece richiede l’art. 2342, co 2, c.c.), e che gli amministratori devono indicare nell’atto di trasformazione le modalità e gli estremi dei versamenti eseguiti.
Pubblicità
Il secondo comma dell’art. 2500 dispone che la delibera di trasformazione sia soggetta alle forme di pubblicità richieste per il tipo di società adottato, nonché a quelle richieste per la cessazione dell’ente che è stato oggetto di trasformazione.
La delibera di trasformazione è pertanto potenzialmente soggetta a più forme di pubblicità, e si presenta come un procedimento ordinario e complesso per il quale il codice civile non stabilisce l’ordine di esecuzione degli adempimenti.
La pubblicità cui fa riferimento la norma è quella che si attua mediante la pubblicazione dell’atto nel registro delle imprese.
Dal tenore della norma sembrerebbe che il legislatore richieda una duplice pubblicità dell’atto: una con riferimento alla disciplina prevista per le società di persone che cessa, l’altra con riferimento alla disciplina prevista per le società di capitali che nasce con l’atto.
È da ritenere, tuttavia, che, nel caso di trasformazione di società di persone in società di capitali, la pubblicità dell’atto di trasformazione sia una e unica, e che essa valga sia per la cancellazione dell’ente che si trasforma, sia per l’iscrizione dell’ente che nasce dalla trasformazione.
In caso contrario si potrebbero avere effetti non desiderabili.
Si pensi alla possibilità che la pubblicità fatta per la cancellazione dell’ente trasformato venga eseguita dopo la pubblicità fatta per l’ente generato dalla trasformazione: dato che la trasformazione ha efficacia dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari, come sancito dal comma 3 dell’articolo in esame che di seguito si vedrà, si potrebbe avere una società per azioni costituita e operante, anche se la trasformazione non ha avuto ancora effetto.
A conferma della tesi qui sostenuta, si evidenzia come le istruzioni reperibili sul sito internet delle Camere di Commercio del Triveneto prevedano un unico adempimento pubblicitario e una unica pubblicazione dell’atto di trasformazione, al quale accompagnare la perizia di stima e gli altri modelli richiesti per la cessazione dei soci della società di persone e per l’iscrizione dei soggetti che ricoprono cariche sociali nella società di capitali.
Secondo tali istruzioni, per la pubblicazione della trasformazione è necessario il deposito dei seguenti atti:
- Modello S2, sottoscritto dal notaio e dai componenti dell’organo amministrativo e dell’organo di controllo della società di capitali che risulta dalla trasformazione;
- Atto di trasformazione, redatto per atto pubblico;
- Relazione di stima;
- Intercalare P per ogni componente dell’organo amministrativo della società che risulta dalla trasformazione;
- Intercalare P per ogni componente dell’organo di controllo;
- Intercalare P per ogni componente della società di persone che cessa;
- Intercalare S per ogni socio della nuova società di capitali.
È inoltre necessario il pagamento di diritti di segreteria per € 62,00 e è necessaria la presentazione di marche da bollo per € 41,32.
La pubblicazione dell’atto di trasformazione deve avvenire secondo le modalità previste dalla società che risulta dalla trasformazione.
A tal fine si ricorda che, secondo quanto stabilisce l’art. 2330, c.c. (valevole per tutti i tipi di società di capitali), “Il notaio che ha ricevuto l'atto costitutivo deve depositarlo entro venti giorni presso l'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione è stabilita la sede sociale, allegando i documenti comprovanti la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 2329.
Se il notaio o gli amministratori non provvedono al deposito nel termine indicato nel comma precedente, ciascun socio può provvedervi a spese della società.
L'iscrizione della società nel registro delle imprese è richiesta contestualmente al deposito dell'atto costitutivo. L'ufficio del registro delle imprese, verificata la regolarità formale della documentazione, iscrive la società nel registro.
Data di effetto della trasformazione
Per ciò che concerne la data di effetto della trasformazione, l’art. 2500, co 3, c.c., sancisce che l’operazione esplica i propri effetti “dall’ultimo degli adempimenti di cui al comma precedente”.
Dato che, come si è visto, nel caso di trasformazione omogenea progressiva la pubblicità da dare all’atto è unica, l’operazione esplica i suoi effetti con l’iscrizione dell’atto pubblico di trasformazione.
In tal modo il legislatore ha normativizzato l’orientamento che si era in precedenza consolidato in dottrina.
In particolare, si affermava che, dato che l’art. 2331, c.c. (che dispone in merito alle società per azioni, ma che vale anche per le altre società di capitali), afferma che “con l’iscrizione nel registro la società acquista personalità giuridica”, l’iscrizione è il momento in cui si viene in essere l’esistenza giuridica della società di capitali: valido questo, la trasformazione non poteva che avere effetto dal momento dell’iscrizione, dato che è da quel momento che la società che risulta dalla trasformazione (nel nostro caso: la società di capitali) nasce ed acquista la personalità giuridica.
La data di effetto della trasformazione, pertanto, non coincide con la data dell’atto, ma con la data di iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese, dato che solo in tale momento nasce il soggetto giuridico che assume i diritti e gli obblighi della società che si vuole trasformare.
La retroattività e il differimento degli effetti della trasformazione
Una questione sollevata in dottrina riguardava la possibilità di anticipare gli effetti dell’atto, attribuendo efficacia retroattiva all’operazione di trasformazione, oppure la possibilità si posticipare gli effetti dell’atto medesimo.
A tal fine si osservava che la retrodatazione dell’atto non era giuridicamente possibile, dato che la trasformazione aveva effetto solo con l’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese, momento dal quale la società di capitali risultante dall’operazione poteva dirsi assumere la personalità giuridica e acquisire così i diritti e gli obblighi della società di persone; se si fossero potuti retrodatare gli effetti della delibera, inoltre, si sarebbe potuto correre il rischio di ledere la garanzia dei terzi, i quali, nel lasso di tempo intercorrente tra quello eventualmente indicato nella delibera stessa e la sua iscrizione, sarebbero venuti ad intrattenere rapporti con un ente societario già dotato di personalità giuridica (quanto meno nelle intenzioni dei soci), senza saperlo.
La medesima dottrina ammetteva invece il differimento della trasformazione, dato che in tal caso si sarebbe trattato solo di attribuire efficacia ad un atto in un momento successivo a quello in cui esso è divenuto noto ai terzi.
L’art. 2500, co 3, c.c., dispone attualmente che la trasformazione ha effetto dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari di cui si è parlato nel precedente paragrafo.
Ne consegue, pertanto, che il legislatore della riforma ha risolto il problema della retrodatazione degli effetti della delibera di trasformazione negando tale possibilità, dato che la dizione normativa utilizzata lega l’efficacia alla pubblicazione.
Per ciò che concerne, invece, la possibilità di postdatare gli effetti dell’atto, sembra di poter affermare che di sicuro ciò è possibile se il Registro delle Imprese cui si presenta lo stesso per la registrazione accetta di non iscriverlo fino alla data di effetto della delibera, eventualmente indicata nella stessa.
4) Invalidità della trasformazione
Al fine di privilegiare la certezza nei confronti dei terzi viene detto che eseguita la pubblicità, l’invalidità dell’atto di trasformazione non può essere più pronunciata (art. 2501 del Codice civile). Resta salvo il risarcimento del danno eventualmente spettante.
Vengono poi dettate disposizioni specifiche per le differenti forme di trasformazione:
1. da società di persone a società di capitali;
2. da società di capitali a società di persone.
Trasformazione di società di persone in società di capitali
Il legislatore ha voluto riservare una particolare tutela dei terzi che vengono in contatto con la società: essi, infatti, da una società con semplice autonomia patrimoniale (nella quale anche i soci rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali) si trovano a avere rapporti con una società dotata di personalità giuridica (che risponde delle obbligazioni sociali solo con il proprio patrimonio, essendo i soci coperti dalla limitazione della responsabilità alla quota di capitale conferita), e con l’operazione potrebbero vedere diminuita la garanzia patrimoniale posta a tutela dei propri interessi. Viene quindi detto che la trasformazione non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali sorte prima degli effetti della trasformazione, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione. Il consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento, non lo hanno espressamente negato nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione (2500-quinquies del Codice civile).
Viene previsto che:
1) Le maggioranze
Salvo diversa disposizione del contratto sociale, la trasformazione è decisa con il consenso della maggioranza dei soci determinata secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili (art. 2500-ter del Codice civile).
Al socio che non ha concorso alla decisione spetta il diritto di recesso. Sul punto la riforma societaria ha risolto il dubbio circa la necessità o meno che la delibera di trasformazione dovesse essere presa all’unanimità (nel silenzio della norma la dottrina e la giurisprudenza era divisa: c’era che sosteneva la necessità del consenso unanime in virtù della sua applicazione quale regola di default per tutte le modiche statutarie – art. 2252 del Codice civile – chi invece la maggioranza dei soci, in virtù del diritto di recesso in ogni caso riconosciuto - – art. 2285 del Codice civile).
Il recesso:
- stando il tenore letterale della norma il diritto è riconosciuto non solo assenti o dissenzienti, ma anche astenuti
- la liquidazione della quota viene fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento ai sensi dell’art. 2289, del Codice civile.
Si accenna per completezza ad un particolare tipo di trasformazione, ossia alla trasformazione di una società in accomandita semplice in una società in accomandita per azioni, nell’ipotesi in cui uno o più soci accomandanti della società in accomandita semplice diventino soci accomandatari della società in accomandita per azioni. In tale evenienza si avrebbe che essi, per effetto della trasformazione, diventerebbero illimitatamente responsabili delle obbligazioni sociali.
Dato che nessuno può diventare illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali senza il proprio consenso (In passato tale principio era stato affermato in giurisprudenza nel caso di passaggio da una società a responsabilità limitata in una società di persone: cfr. Trib. Verona, 29 giugno 1995), sembra di poter affermare che nel caso in analisi l’operazione sia possibile solo se, oltre alla maggioranza richiesta dalla legge o dall’atto costitutivo, consti anche il consenso del socio che viene ad assumere responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali (ossia del socio accomandante della società in accomandita semplice che diviene socio accomandatario della società in accomandita per azioni).
Si sottolinea come nel caso di trasformazione di società di capitali il consenso dei soci che assumono la responsabilità illimitata e solidale a seguito dell’operazione sia normativamente richiesto (art. 2500sexies, co 1, c.c.): sembra pertanto che la tutela da riconoscere al socio che assume la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali nel caso de quo non possa essere minore di quella prevista per la disciplina delle trasformazioni di società di capitali.
2) Il capitale post trasformazione e la perizia di valutazione
il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a norma di legge (art. 2500-ter del Codice civile).
In merito occorre porre attenzione al fatto che:
- nella relazione al Dlgs n. 6 del 2003 viene poi espressamente previsto che non tutto il netto da patrimonio debba essere imputato a capitale sociale (con la conseguenza quindi, che questo viene a costituire il valore massimo del capitale sociale);
- stando il tenore letterale della disposizione, sembrerebbe che il legislatore della riforma abbia invertito l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale passato, riconoscendo la possibilità, (rectius: “imponendo”) che la perizia di stima rilevi eventuali plusvalori latenti dell’azienda e permettendo alla società che risulta dalla trasformazione di iscrivere tali maggiori valori (L. Miele, Trasformazioni elusive, Il Sole 24 Ore, del 22 ottobre 2004). La conseguenza di tale previsione normativa è che il perito deve attenersi, non ai criteri di valutazione prescritti dal codice civile per la redazione del bilancio di esercizio (principio contabile n. 30), ma ai criteri ordinariamenti utilizzati nei casi di trasferimento di azienda (ad esempio per conferimento), procedendo ad una vera e propria valutazione della stessa a valori correnti.
La perizia di trasformazione – metodo di valutazione
nel caso di operazione di trasformazione la perizia di valutazione deve essere effettuata qualora si passi da una società di persone a una società di capitali (c.d. trasformazione progressiva o evolutiva).
In merito il comma 2 dell’art. 2500-ter, c.c., prevede che «il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a norma dell’art. 2343 o, nel caso di società a responsabilità limitata, dell’art. 2465».
Tale disposizione, non presente nel testo civilistico ante riforma societaria (attuata con il D.Lgs. 80/2003) secondo autorevole dottrina (4) ad un deciso cambiamento di rotta in tema di siffatte trasformazioni; infatti:
- è affermato il principio della discontinuità dei valori in quanto il valore dei beni ed elementi attivi e passivi non deve più coincidere con i precedenti valori contabili;
- è prevista una valutazione non più a valori storici, ma a valori attuali o, più correttamente, a valori correnti.
La scelta del termine «valore attuale», da parte del Legislatore, non è delle più felici e potrebbe generare differenti interpretazioni; in particolare si potrebbe intendere l’impostazione più garantista caratterizzata nel confrontare il valore contabile di ogni bene con il valore corrente e utilizzare il valore corrente nella sola ipotesi in cui quest’ultimo sia inferiore al valore contabile, oppure procedere determinare il valore dei singoli beni in base al valore corrente e quindi svalutando o rivalutando i cespiti.
In effetti il dettato normativo prevede due importanti novità rispetti al passato rappresentate:
a) dalle modalità di determinazione del valore del capitale sociale della società trasformata;
b) dall’entità dei valori di perizia dei singoli cespiti aziendali.
In relazione a quanto evidenziato al punto sub a) sarà possibile iscrivere un valore del capitale sociale post-trasformazione superiore o inferiore a quello precedentemente contemplato in relazione ai maggiori o minori valori previsti in perizia (e recepiti dagli amministratori).
Pertanto, con questa disposizione si finisce con il poter rivalutare determinati beni in deroga a quanto previsto dall’art. 2426, c.c.
A nostro avviso è una innovazione sotto certi aspetti censurabile, allo stato attuale della normativa, in quanto è possibile rivalutare i beni al di fuori delle previsioni civilistiche; nel momento in cui sarà recepito il principio Ias concernente il fair value, questa disposizione sarà invece perfettamente coerente con l’impianto legislativo civilistico.
In relazione al punto sub b), ovverosia la possibilità per il perito di utilizzare per la sua stima sia valori inferiori ai valori contabili storici dei beni conferiti, sia valori superiori a quelli contabili, la nuova disposizione sembra un «ritorno al passato» quando appunto le perizie di stima potevano tener conto sia delle minusvalenze latenti sui beni valutati, sia delle plusvalenze sugli stessi, mentre in una impostazione giurisprudenziale che, negli ultimi tempi pre-riforma del diritto societario ha avuto molto seguito, il perito poteva «ritoccare» verso il basso le valutazioni dei beni rispetto al loro valore contabile, ma non poteva iscrivere in perizia valori più alti rispetto a questi ultimi.
Appare pertanto evidente come gli amministratori dovranno aggiornare il capitale della società trasformata sulla base dei valori correnti degli elementi attivi e passivi redigendo un bilancio straordinario di trasformazione a siffatti valori assumendone piena responsabilità nei confronti dei terzi e dei soci.
Ovviamente gli amministratori potranno determinare il capitale della società trasformata sulla base dei valori attuali o correnti solo a condizione che il perito adotti nella sua relazione di stima tale metodologia valutativa.
Dopo quanto sopra illustrato ci si chiede come debba comportarsi il perito in sede di redazione della propria relazione.
Certamente il metodo valutativo che più si addice al dettato dell’art. 2500-ter, c.c., appare quello che in dottrina è definito come metodo patrimoniale semplice (In tal senso L. Guatri, Trattato sulla valutazione delle aziende, Milano, 1998) basato sulla stima analitica dei singoli elementi patrimoniali senza l’evidenziazione di un autonomo valore di avviamento proprio del metodo patrimoniale complesso.
Appaiono pertanto non proponibili valutazioni dell’azienda con metodi reddituali, finanziari, misti che presuppongono la quantificazione di un valore di avviamento.
Seguendo la metodologia patrimoniale semplice il perito dovrà pertanto:
- revisionare gli elementi patrimoniali attivi e passivi evidenziati nella situazione patrimoniale «di partenza» per accertare eventuali errori o scorrette «politiche di bilancio» effettuate in passato dagli amministratori;
- reprimere a valori correnti gli elementi patrimoniali attivi e passivi individuati nella precedente elaborazione;
- stimare le imposte latenti;
- determinare il capitale netto rettificato;
- accertare la sostenibilità economica dei valori analiticamente determinati.
L’aspetto della sostenibilità economica dei valori è certamente un fenomeno su cui il perito dovrà sensibilizzarsi specialmente a seguito delle innovazioni introdotte dalla riforma societaria e sulle quali, precedenza, ci siamo soffermati.
In definitiva, a seguito della riesposizione a valori correnti dei beni aziendali, con delle conseguenti rivalutazioni rispetto ai valori storici, il perito prima e gli amministratori poi, si debbono chiedere se tali maggiori valori sono «sostenibili» dall’azienda post-trasformazione (si pensi alla maggior entità degli ammortamenti da calcolarsi in futuro sui cespiti rivalutati) ovverosia se sono assorbibili dal reddito che genererà l’impresa.
Pertanto l’esperto non può attestare in perizia un valore di capitale netto rettificato superiore a quello risultante dalla valutazione «sostenibile» dell’azienda in base ai redditi prospettici.
Da qui la necessità, per il perito, dell’accertamento, mediante una verifica reddituale, della capacità dell’azienda di sostenere economicamente le rivalutazioni effettuate.
Questa verifica potrà essere effettuata stimando il reddito medio prospettico (R) e poi rapportandolo al capitale netto rettificato (K) determinando un tasso prospettico di rendimento (r = R / K).
Se tale tasso rientra nella normalità la verifica può ritenersi soddisfatta.
In definitiva, con la riforma, il Legislatore vincola il perito all’applicazione di criteri di valutazione correnti, in quanto se continuasse ad applicare valutazioni proprie del bilancio d’esercizio precluderebbe la possibilità, prevista dall’art. 2500-ter, c.c., di determinare il capitale della società trasformata a valori correnti.
Va da sé che il perito non è obbligato ad effettuare la verifica reddituale illustrata in precedenza, ma nell’ipotesi di condivisione di tale verifica dovrà poter contare su piani economici e finanziari messi a disposizione dai vertici dell’azienda oggetto di trasformazione.
Se il perito procede alla succitata verifica reddituale i valori peritali potranno essere accolti tout-court dagli amministratori nel bilancio di trasformazione in quanto il perito ha già provveduto, come si accennava, all’accertamento della sostenibilità economica.
Agli amministratori della trasformata società per azioni o S.a.p.a. compete sempre la possibilità, prevista dall’art. 2343, co. 3, c.c., di controllo ed eventuale rettifica delle valutazioni peritali.
La perizia di valutazione – aspetti civilistici
L’art. 2500ter, co 2, c.c., stabilisce che “Nei casi previsti dal precedente comma il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell'attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a norma dell'articolo 2343 o, nel caso di società a responsabilità limitata, dell'articolo 2465. Si applicano altresì, nel caso di società per azioni o in accomandita per azioni, il secondo, terzo e, in quanto compatibile, quarto comma dell'articolo 2343”.
Per operare la trasformazione di una società di persone in società di capitali è pertanto necessario che la delibera dei soci venga accompagnata da una perizia giurata di stima del patrimonio sociale della società che si vuole trasformare.
La relazione di stima è obbligatoria, pena la invalidità della trasformazione.
Essa viene ritenuta generalmente obbligatoria anche quando il capitale sociale è costituito di solo denaro o comunque non vi siano beni in natura nel patrimonio della società che si vuole trasformare.
La nomina dell’esperto
Per quel che riguarda in particolare il soggetto chiamato ad eseguire la stima e le modalità della sua nomina, si evidenzia come la nuova disciplina della trasformazione faccia due distinti rinvii, a seconda che la società trasformata sia una società per azioni o in accomandita per azioni oppure una società a responsabilità limitata.
Tale duplice rinvio consegue alla nuova disciplina prevista per i conferimenti in sede di costituzione della società: nel nuovo codice civile, infatti, il conferimento nelle società per azioni e in accomandita per azioni è disciplinato dall’art. 2343, c.c., e il conferimento nelle società a responsabilità limitata è regolato dall’art 2465, c.c.
La perizia in caso di trasformazione in società per azioni o in accomandita per azioni
Nel caso in cui la società di persone si voglia trasformare in una società per azioni o in accomandita per azioni, la nomina dell’esperto deve avvenire in ossequio al disposto dell’art. 2343, c.c.
I legali rappresentanti della società di persone devono pertanto presentare istanza al Tribunale nel cui circondario ha sede la società, affinché esso in Camera di Consiglio nomini l’esperto incaricato della stima del patrimonio sociale.
Si noti come ora la legge ritenga competente il Tribunale nel cui circondario ha sede la società, mentre in passato non c’era tale precisazione: a tal fine si era ritenuto competente anche il Tribunale dove aveva sede il conferente, oppure anche il tribunale che aveva con i richiedenti “un collegamento obiettivo, come la residenza o la ubicazione dei beni da stimare nella circoscrizione”.
L’esperto deve essere estraneo ed indipendente rispetto alla società e ai soci.
Pertanto l’esperto non deve aver avuto pregressi rapporti con la società, nè risultare operante in associazione con professionisti che abbiano avuto pregressi rapporti con la società; inoltre non deve essere socio, amministratore o sindaco della trasformanda società, in quanto cariche incompatibili in considerazione della necessaria posizione di neutralità e indipendenza dell'esperto stimatore rispetto ai soci e agli organi della società.
La legge, peraltro, non pone altri requisiti soggetti per la nomina dell’esperto (non è necessario, ad esempio, che si tratti di soggetto iscritto all’albo dei revisori contabili tenuto presso il Ministero di Grazia e Giustizia).
L’ultimo periodo dell’art. 2500ter, co 2, c.c., di nuova introduzione, prevede che il secondo, terzo e quarto comma dell’art. 2343 si applicano solo nel caso in cui la società che risulta dalla trasformazione sia una società per azioni o in accomandita per azioni.
In tal modo il legislatore ha risolto una disputa che aveva coinvolto negli anni precedenti la dottrina e la giurisprudenza, riguardante la applicazione in toto dell’art. 2343, c.c., alle perizie redatte in sede di trasformazione progressiva.
Il richiamo al secondo comma dell’art. 2343, c.c., implica che al perito si applichi quanto previsto dall’art. 64, c.p.c.
Pertanto egli, se incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l'arresto fino a un anno o con la ammenda fino a lire venti milioni ed è tenuto al risarcimento dei danni causati alle parti.
Allo stesso, inoltre, sono ascrivibili i reati previsti dal codice penale per gli incaricati di pubblico servizio (es: peculato, ex art. 314, c.p., o favoreggiamento personale ex art. 378, c.p.).
Dall’1 gennaio 2004 è previsto inoltre che egli sia tenuto al risarcimento dei danni arrecati alla società, ai soci e ai terzi.
Per effetto del richiamo operato al terzo comma dell’art. 2343, c.c., gli amministratori devono, nel termine di centottanta giorni dalla iscrizione della società, controllare le valutazioni contenute nella relazione di stima del patrimonio della società che si vuole trasformare e, se sussistono fondati motivi, devono procedere alla revisione della stima stessa.
Inoltre, fino a quando le valutazioni non sono state controllate, le azioni della società trasformata sono inalienabili e devono restare depositate presso la società.
Con tale previsione normativa viene accolta la tesi sostenuta dalla dottrina maggioritaria e dalla giurisprudenza, che si esprimevano a favore della necessità della revisione della stima, in quanto adempimento che doveva essere considerato a favore dei terzi, che da essa non potevano che trarre giovamento.
Giova essere sottolineato che con la riforma del diritto societario l’obbligo della revisione della stima incombe unicamente sugli amministratori della società che risulta dalla trasformazione, e non sui sindaci.
Si evidenzia in conclusione che il quarto comma dell’art. 2343, c.c., si applica solo “in quanto compatibile”.
L’uso di questa locuzione sembra dovuto al fatto che il quarto comma dell’art. 2343, c.c., fa riferimento al conferimento in società eseguito da uno dei soci, mentre nel caso della trasformazione si è in presenza di un patrimonio sociale unitario, che non viene conferito ma rimane di proprietà del medesimo soggetto economico che si trasforma.
La compatibilità richiesta può essere letta come segue:
- L’art. 2343, co 4, c.c., stabilisce in primo luogo che “Se risulta che il valore dei beni o dei crediti conferiti era inferiore di oltre un quinto a quello per cui avvenne il conferimento, la società deve proporzionalmente ridurre il capitale sociale, annullando le azioni che risultano scoperte”.
Trasportando la norma al caso della trasformazione, si potrebbe pensare che in caso sottovalutazione del capitale oltre il quinto, esso vada, sì, ridotto, ma che vadano annullate non le azioni di un singolo socio, ma pro-quota le azioni di tutti i soci della società trasformata.
Come si è detto, infatti, nell’ipotesi della trasformazione i conferimenti eseguiti dai singoli soci in sede di costituzione dell’originaria società non hanno alcun valore, ma rileva unicamente il patrimonio della società nel suo complesso: pertanto, anche se risulta che la perdita oltre il quinto sia causata dal venir meno del valore di un bene conferito inizialmente uno dei soci, non sembra che debbano essere annullate solo le sue azioni, ma che la perdita debba venire ascritta proporzionalmente a tutti i soci.
D’altronde il bene che eventualmente avesse perso valore sarebbe già nel patrimonio della società, pur se essa in passato aveva un’altra forma giuridica, per cui i soci e gli amministratori già lo conoscevano, già lo avevano accettato come conferimento e già potevano valutare l’opportunità di mantenerlo nel patrimonio dell’impresa: non sembra pertanto coerente addossare le conseguenze di una sua eventuale perdita di valore dopo la trasformazione al singolo socio che, magari anni prima, lo aveva conferito.
Anche la lettera della legge sembra spingere verso questa interpretazione: la relazione di stima, infatti, ha ad oggetto l’intero patrimonio sociale, non le singole quote di partecipazione alla società né i conferimenti originari dei singoli soci.
- Viene poi stabilito che “il socio conferente può versare la differenza in danaro o recedere dalla società".
Anche in questo caso dovrebbe potersi intendere che nell’ipotesi della trasformazione siano tutti i soci che pro-quota possono integrare il capitale perduto con dei versamenti in denaro, coerentemente con quanto affermato nel precedente punto.
- Si dice, infine, nel quarto comma dell’art. 2343, c.c., che “L'atto costitutivo può prevedere, salvo in ogni caso quanto disposto dal quinto comma dell’articolo 2346, che per effetto dell'annullamento delle azioni disposto nel presente comma si determini una loro diversa ripartizione tra i soci”.
Il fondamento di tale previsione, nel caso della costituzione della società, dovrebbe poter stare nel lasciare alla volontà dei soci la possibilità che l’annullamento delle azioni, in conseguenza della sottovalutazione oltre il quinto, non muti i rapporti tra i soci.
Potrebbe essere, infatti, che essi, nonostante la svalutazione del conferimento di uno dei soci, vogliano mantenere le proporzioni delle azioni definite nell’atto costitutivo.
Se si accetta tale tesi, e se si accetta la tesi precedentemente esposta (secondo la quale la perdita oltre il quinto nel caso della trasformazione dovrebbe essere ripartita tra tutti i soci proporzionalmente), se ne dovrebbe concludere che la disposizione in esame non dovrebbe essere applicabile nella trasformazione, dato che la eventuale riduzione del capitale sociale non muterebbe i rapporti “di forza” tra i soci stabiliti nella delibera di trasformazione.
In caso contrario si potrebbe consentire la violazione, se pur in un momento diverso dalla delibera di trasformazione, del precetto normativo di cui all’art. 2500quater, co 1, c.c., secondo il quale ciascun socio ha diritto a un numero di azioni proporzionale alla sua partecipazione.
La perizia in caso di trasformazione in società a responsabilità limitata
In materia di trasformazione in società a responsabilità limitata, la norma rinvia a quanto previsto dall’art. 2465, c.c.
Tale ultima norma è stata introdotta al fine di semplificare e agevolare la costituzione delle società a responsabilità limitata, ed è stata ispirata dall’intento di alleggerire i relativi adempimenti amministrativi, posto che molto spesso le società a responsabilità limitata sono essenzialmente di piccole dimensioni, fondate sul lavoro dei singoli soci e sulla considerazione che di essi hanno i terzi, e sono quindi avvicinabili più alle società di persone che alle società per azioni.
In tale ottica è stato ritenuto opportuno semplificare le modalità e le regole dei conferimenti in natura, snellendo il più possibile il procedimento valutativo.
Con le nuove norme, pertanto, in sede di costituzione della società, l’esperto che deve redigere la stima del patrimonio della società che si trasforma può essere nominato dai soci che intendono eseguire il conferimento.
Dato il richiamo operato dall’art. 2500ter, co 2, c.c., la norma risulta applicabile anche nel caso di trasformazione di una società di persone in una società a responsabilità limitata.
Essa dovrebbe essere intesa, peraltro, nel senso che è la società da trasformare, tramite i suoi legali rappresentanti, che nomina l’esperto, in quanto il patrimonio da valutare è solo uno ed è quello della società (in sede di costituzione, invece, molteplici sono gli apporti e pertanto ciascun socio può nominare un perito per la valutazione del proprio).
A compensare i minori vincoli posti (e il rischio della nomina di un perito non totalmente imparziale in quanto non di nomina esterna) è stato tuttavia previsto l’obbligo per la società di scegliere il perito tra i soggetti (revisori persone fisiche o società di revisione) iscritti all’albo dei revisori contabili, oppure tra le società di revisione iscritte nell’albo speciale tenuto presso la Consob.
Degno di nota è anche l’ultimo periodo dell’art. 2500ter, co 2, c.c., secondo il quale il secondo, terzo e quarto comma dell’art. 2343 si applicano solo nel caso in cui la società che risulta dalla trasformazione sia una società per azioni o in accomandita per azioni.
Sembra doversene dedurre che il rinvio operato dalla prima parte della norma in esame sia riferibile solamente al primo comma dell’art. 2465, c.c., e cioè alla parte di tale norma riguardante il contenuto che deve avere la perizia e le modalità di nomina del perito.
Dal tenore letterale della norma sembra pertanto che nel caso di trasformazione in una società a responsabilità limitata non operino le disposizioni dell’art. 2343, c.c., in materia di responsabilità del perito, di revisione della stima nei sei mesi successivi alla trasformazione e di eventuale riduzione del capitale sociale nel caso di diminuzioni oltre il quinto.
Tale previsione sembrerebbe in linea con la ratio dell’intervento legislativo in tema di società a responsabilità limitata, che consiste nell’avvicinare la disciplina di tale modello di società a quello previsto per le società di persone.
Si evidenzia a tal fine che neppure nel caso di costituzione di società a responsabilità limitata è prevista la revisione della stima con gli adempimenti connessi, mentre valgono le norme sulla responsabilità civile e penale del perito.
Tale ultima previsione sembra escludere che le norme sulla responsabilità del perito disposte dall’art. 2343, co 2, c.c., valgano per analogia anche nel caso di trasformazione in società a responsabilità limitata.
Tale soluzione, peraltro, può lasciare perplessi, in quanto una norma che preveda la responsabilità del perito per i danni causati nell’esercizio del suo ufficio sembrerebbe necessaria per assicurare che le sue valutazioni siano imparziali (e ciò a tutela dei terzi) anche nel caso trasformazione in società a responsabilità limitata, dato anche che tale previsione non genererebbe alcun ulteriore adempimento per la società e non violerebbe i principi che stanno alla base della riforma.
E ciò a maggior ragione se si pensa che il secondo comma dell’art. 2343, c.c., viene richiamato dall’art. 2465, co 3, c.c., in materia di costituzione di società a responsabilità limitata.
La perizia di stima: altre questioni
Si può discutere su quale debba essere la data presa a riferimento dal perito per la stima del patrimonio della società: la perizia di stima, infatti, richiede del tempo per la sua redazione, per cui la data della delibera di trasformazione risulta normalmente successiva alla data di riferimento della perizia.
La novella legislativa non ha disciplinato la questione, per cui sembra che possano valere gli orientamenti proposti in passato dalla giurisprudenza, che prevedevano che la data di riferimento della perizia dovesse essere precedente di non oltre 60 giorni dalla data di delibera della trasformazione, anche se alcuni sostenevano la validità della trasformazione, purchè la perizia abbia come riferimento una data anteriore di non oltre quattro mesi da quella della delibera.
Si può porre il problema dell’individuazione del soggetto che deve asseverare la stima del perito.
In passato, quando il perito doveva essere nominato in ogni caso dal Presidente del Tribunale, la giurisprudenza e la dottrina ritenevano che la formalità della asseverazione potesse essere espletata sia dinanzi all’autorità che aveva designato il perito (quindi il Presidente del Tribunale, secondo la legge allora in vigore), sia un notaio, a norma dell’art. 1, n. 4, R.D.L. 14 luglio 1937, n. 1666, che abilita i notai a ricevere atti di asseverazione con giuramento di perizie stragiudiziali.
Nella disciplina attuale, l’orientamento sopra delineato dovrebbe essere considerato ancora attuale, tanto nel caso di trasformazione in società per azioni o in accomandita per azioni, quanto, e a maggior ragione, nel caso di trasformazione in società a responsabilità limitata.
Si è infine affermato che, al fine di assicurare a terzi che la valutazione del perito attesti l’effettivo valore del patrimonio, è necessaria una dichiarazione da parte dei soci, verbalizzata in assemblea, che confermi che non sono intervenute nelle more del procedimento modifiche nell’andamento economico dell’ente idonee a diminuire l’apprezzamento peritale.
2.1) La ripartizione del capitale
nella ripartizione del capitale, ciascun socio ha diritto all’assegnazione di un numero di azioni o di una quota proporzionale alla sua partecipazione (art. 2500-quater del Codice civile).
La nuova norma fa riferimento unicamente alla partecipazione del socio e non al suo riferimento all’ultimo bilancio approvato. Ciò sembra voler confermare che vengono fatti salvi gli atti di trasferimento quote posti in essere fino alla data di effetto della delibera di trasformazione. Rifacendosi ai principi, infatti, le modifiche dell’atto costitutivo delle società di persone sono efficaci già dalla data della loro effettuazione, essendo, la pubblicazione presso il Registro delle Imprese da eseguire entro trenta giorni dalla data dell’atto, un adempimento necessario unicamente ai fini della loro opponibilità ai terzi.
Qualora nella società trasformata vi siano soci d’opera occorre che a questi venga assegnato un numero di azioni o quote in misura corrispondente alla partecipazione che l’atto costitutivo gli riconosceva precedentemente; conseguentemente dovrà essere ridotto proporzionalmente le partecipazioni degli altri soci.
L’assegnazione delle azioni o quote al socio d’opera
Uno degli aspetti che in precedenza non era disciplinato riguardava il trattamento da riservare all’eventuale socio d’opera della società di persone, nell’ambito di una trasformazione in una società di capitali.
Occorre ricordare, infatti, che nelle società commerciali di persone il conferimento può avere ad oggetto qualsiasi entità utile per il conseguimento dell’oggetto sociale, ivi comprese le prestazioni d’opera che si esauriscono con la prestazione ed attribuiscono al socio solo il diritto agli utili.
Nelle società per azioni ed in accomandita per azioni, invece, i conferimenti possono essere solo di capitale (ovverosia devono consistere in entità iscrivibili come poste attive nel bilancio), stante il divieto posto dall’art. 2343, co 5, c.c.
Vi erano dunque non pochi dubbi nel trattamento da riservare ai soci d’opera della società di persone, con particolare riferimento alla quota di capitale da riservare ad essi nella società di capitali che risultava dalla trasformazione.
Anche la dottrina in merito era divisa: secondo alcuni, infatti, il socio d’opera sarebbe stato tenuto ad eseguire un conferimento corrispondente alla quota di capitale ad esso assegnata; secondo altri invece il socio d’opera non avrebbe dovuto eseguire alcun conferimento, ma la sua quota di partecipazione sarebbe stata “liberata” attribuendo alla stessa la quota ideale di liquidazione della sua partecipazione nella società di persone; seconda altri ancora il socio d’opera poteva essere escluso dalla compagine sociale.
L’art. 2500quater, co 2, c.c., è intervenuto disciplinando la fattispecie.
Esso dispone che ora il socio d'opera ha diritto all'assegnazione di un numero di azioni o di una quota in misura corrispondente alla partecipazione che l'atto costitutivo della società di persone gli riconosceva precedentemente alla trasformazione.
Nel caso in cui l’atto costitutivo della originaria società di persone nulla prevedesse, la scelta del trattamento da riservare al socio d’opera viene lasciata all’accordo dei soci, i quali potranno decidere cosa farne.
La legge non precisa cosa debba intendersi per “accordo tra i soci”; in particolare non è specificato se l’accordo necessiti o meno del consenso di tutti i soci (oppure, ad esempio, esso possa presupporre l’accordo solo della maggioranza degli stessi).
Dato che la decisione presa tocca i diritti di tutti i soci (in quanto, come poi si dirà, essi vedranno una riduzione delle azioni ad essi assegnate, proporzionale al valore attribuito alla partecipazione del socio d’opera), sembrerebbe di poter affermare che la valutazione della partecipazione del socio d’opera debba avvenire con l’accordo di tutti i soci, in quanto in tale valutazione sono coinvolti i diritti economici di tutti costoro.
Anche il tenore letterale della norma sembra confermare tale impostazione: se la decisione fosse presa a maggioranza, non costerebbe l’accordo di tutti i soci, in quanto alcuni di essi sarebbero in disaccordo.
D’altro canto, se fosse ammessa la decisione a maggioranza, potrebbe anche essere che i diritti del socio d’opera vengano lesi, ove la sua posizione dovesse trovarsi in minoranza.
Ancora ed infine, si osserva che la prima soluzione suggerita dal legislatore fa riferimento a quanto previsto nell’atto costitutivo, che è stato stipulato necessariamente con l’accordo di tutti i soci.
Questa impostazione sembra ancor più sostenibile se si pensa che il legislatore della riforma ha previsto una ulteriore via di fuga, disponendo che in caso di disaccordo tra i soci decida il giudice secondo equità, il quale interverrà su iniziativa della parte più diligente.
In ogni caso, pertanto, viene riconosciuto al socio d’opera il diritto di partecipare alla società di capitali che risulta dalla trasformazione, e viene riconosciuto il diritto allo stesso alla partecipazione ad una quota del capitale sociale della nuova società.
Dato però che la sua prestazione di opera non è stata inclusa nella perizia giurata di stima del patrimonio (non essendo una entità suscettibile di essere inclusa nell’attivo dello stato patrimoniale), occorre ridisegnare l’assetto della compagine sociale della società risultante dalla trasformazione.
E infatti l’ultimo comma dell’art. 2500quater, c.c., dispone che le azioni assegnate agli altri soci si riducano proporzionalmente.
In sostanza, occorrere attribuire un valore all’opera prestata dal socio, secondo i criteri sopra enunciati, e percentualizzare tale valore rispetto al patrimonio indicato nella perizia di stima: in tal modo viene determinata la percentuale del capitale della società che risulta dalla trasformazione che spetta al socio d’opera.
La percentuale del capitale della società che risulta dalla trasformazione che spetta agli altri soci viene determinata attribuendo agli stessi una percentuale del patrimonio netto da perizia, diminuito dell’importo corrispondente alla quota spettante al socio d’opera, pari alla percentuale del capitale sociale che essi detenevano nella società di persone prima della trasformazione.
Pertanto, se ad esempio il capitale sociale della società di persone era valutato in 100, di cui 50 di pertinenza del socio A, 40 di pertinenza del socio B e 10 di pertinenza del socio C, e fosse presente un socio d’opera D, la cui partecipazione nella società di capitali che risulta dalla trasformazione sia valutata in 20, il capitale sociale di 100 della società di capitali dovrebbe essere suddiviso tra i soci come segue:
- Socio d’opera D: 20;
- Socio A: 40;
- Socio B: 32;
- Socio C: 8.
Per ciò che concerne le società a responsabilità limitata, pur se per la loro costituzione è possibile il conferimento di prestazioni d’opera o di servizi a favore della società, analogamente a quanto previsto per le società commerciali di persone, occorre sottolineare che comunque tale tipo di conferimento è possibile solo se garantito da una polizza fidejussoria o assicurativa sul suo valore e il valore dell’opera conferita deve essere determinato all’atto dell’apporto; inoltre, secondo la pubblicistica più autorevole, essa deve essere oggetto di perizia di stima come tutti gli altri conferimenti in neutra, dato che il suo valore va ad aumentare il capitale della società.
Visto pertanto che nelle società a responsabilità limitata anche l’apporto di prestazioni d’opera o servizi è visto come un apporto di capitale (e le cautele sopra indicate lo testimoniano), sembra potersene concludere che quanto sopra detto in materia di società per azioni ed in accomandita per azioni valga anche nel caso di trasformazione progressiva in società a responsabilità limitata e che anche in tale tipo di operazione al socio d’opera debba essere comunque assegnata una quota di capitale con le procedure in precedenza delineate.
E infatti anche l’art. 2500quater, c.c., parla di azioni o quote, con ciò inequivocabilmente confermando l’impostazione prospettata.
3) L’invalidità della trasformazione
Da quanto sin qui detto si può comprendere come la trasformazione sia frutto di un procedimento complesso, del quale la legge disciplina in modo puntuale gli aspetti più rilevanti.
Potrebbe pertanto essere che il procedimento disegnato dal legislatore civilistico venga, in casi patologici, violato in alcuni suoi aspetti: si pensi alla possibilità che la delibera di fusione non avvenga con il consenso della maggioranza dei soci (o che avvenga con una maggioranza inferiore rispetto a quella richiesta dall’atto costitutivo), oppure che la perizia di stima sopravvaluti dolosamente il patrimonio netto della società, oppure ancora che l’atto di trasformazione non contenga tutti gli elementi necessari per la costituzione della società che si vuole fare risultare dalla trasformazione.
In tutti questi casi potrebbe esservi chi ha interesse ad annullare l’intera operazione, e tornare allo status quo ante delibera.
Tale evenienza porterebbe con tutta evidenza un danno nei confronti di chi abbia operato con la società trasformata, facendo in buona fede affidamento sulla validità della trasformazione.
Al fine di assicurare la certezza nei confronti dei terzi e di favorire la sicurezza dei rapporti giuridici, e consapevole dei problemi che potrebbero nascere da una eventuale dichiarazione di nullità dell’atto dopo che la trasformazione sia stata attuata, il legislatore della riforma è intervenuto introducendo per la trasformazione una norma analoga a quella già prevista per la fusione, la quale prevede che una volta eseguiti tutti gli adempimenti pubblicitari richiesti dalla legge, l’invalidità della fusione non può più essere pronunciata (art. 2500bis, co 1, c.c.).
Quindi con l’iscrizione della delibera di trasformazione, la società di persone diventa a tutti gli effetti una società di capitali, con limitazione di personalità per i soci per le obbligazioni successive alla delibera stessa.
La pubblicità ha effetto sanante, in quanto permette di sopperire all’inefficacia dell’atto di trasformazione nullo, ed è idonea pure a precludere eventuali pronunciamenti volti a caducare gli effetti della trasformazione.
Con tale previsione, tuttavia, non si è voluto mettere al riparo da conseguenze gli eventuali abusi che dovessero essersi manifestati nel procedimento di trasformazione; per questo il secondo comma dell’art. 2500bis fa salvo il risarcimento del danno, che eventualmente avessero subito da irregolarità nel procedimento di trasformazione, i soci della società e i terzi che con la stessa abbiano avuto a che fare.
Il danno cui si riferisce la norma è solo quello antigiuridico o ingiusto: deve perciò essere un danno che deriva dall’invalidità dell’atto di trasformazione e non dalla trasformazione in quanto tale. I problemi, in tal caso, sono quelli della rappresentazione della perdita economica come danno patrimoniale causalmente riconducibile a un comportamento che genera un vizio dell’atto di fusione, e quelli della quantificazione del risarcimento che ripara il danno.
Tenuti al risarcimento del danno dovrebbero essere, oltre alla società, coloro che si sono resi responsabili della irregolarità individuata o del danno cagionato.
Ad esempio, nel caso in cui la delibera di trasformazione di società in accomandita semplice in accomandita per azioni nella quale un socio accomandante della prima diventa accomandatario della seconda, iscritta nel Registro delle Imprese anche senza il consenso del socio in parola, sarà comunque valida, ma esporrà i soci che hanno prestato il loro consenso al risarcimento del danno che il socio dovesse subire per effetto dell’assunzione della responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali (che dovrebbe comunque sussistere in capo ad esso, stante la lettera delle legge (che considera comunque valida la trasformazione: in tal caso il socio potrà comunque chiedere il recesso dalla società per giusta causa).
Sempre esemplificando, nel caso in cui il patrimonio della società sia stato fraudolentemente sopravvalutato, chi si è reso autore di tale comportamento dovrà risarcire il danno che dovessero subire i terzi che sono venuti in contatto con la società di capitali che risulta dalla trasformazione, confidando nella effettiva esistenza del capitale indicato negli atti sociali, ivi compreso il perito che ha redatto l’elaborato tecnico.
Quanto sopra detto non dovrebbe pregiudicare la possibilità di far dichiarare la nullità della società di capitali che risulta dalla trasformazione, qualora ricorra una delle cause previste dal nuovo art. 2332, co 1, c.c.
In tal caso, peraltro, dato che la trasformazione ha comunque esplicato i propri effetti, la disciplina della fattispecie dovrebbe essere quella prevista dall’art. 2332, c.c., medesimo.
Pertanto la società di capitali dovrebbe comunque considerarsi sorta e gli atti compiuti in nome della società successivamente all’iscrizione della delibera nel Registro delle Imprese dovrebbero comunque considerarsi efficaci.
Delle obbligazioni sociali sorte successivamente alla trasformazione (e fino alla declaratoria di nullità) dovrebbe continuare a rispondere solo la società con il suo patrimonio (salve eventuali responsabilità degli amministratori per violazioni di legge), mentre i soci dovrebbero essere obbligati unicamente ad eseguire i conferimenti promessi ma non ancora eseguiti.
Inoltre, la sentenza che dovesse dichiarare la nullità della società dovrebbe nominare i liquidatori: ne consegue che alla dichiarazione di nullità della società di capitali non dovrebbe farsi conseguire la sopravvivenza alla trasformazione della società di persone (con responsabilità patrimoniale personale dei soci), ma lo scioglimento della società di capitali che ne è risultata.
4) La liberazione dei soci dalla responsabilità illimitata
per le obbligazioni sociali anteriori alla trasformazione
Uno degli aspetti principali della trasformazione di società di persone in società di capitali riguarda la responsabilità dei soci nei confronti dei terzi.
Nelle società di persone, infatti, i soci rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali con il proprio patrimonio (eccezion fatta per i soci accomandanti nelle società in accomandita semplice, i quali rispondono limitatamente alla quota di capitale conferito), mentre nelle società di capitali delle obbligazioni sociali risponde unicamente la società con il proprio patrimonio (eccezion fatta per i soci accomandatari delle società in accomandita per azioni, i quali rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali con il proprio patrimonio).
È evidente, pertanto, l’esigenza di tutela nei confronti dei terzi, i quali, passando dal primo tipo di società al secondo, potrebbero vedere compromessa la garanzia patrimoniale su cui possono contare per l’adempimento delle obbligazioni a proprio favore, in quanto a seguito dell’operazione essi non potrebbero più soddisfare le proprie pretese sul patrimonio dei soci divenuti limitatamente responsabili.
L’art. 2500quinquies, c.c., di nuova introduzione, riproduce essenzialmente il contenuto del vecchio art. 2499, c.c., approtandovi alcune integrazioni che tengono conto degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che si erano formati nel tempo.
Il nuovo art. 2500quinques, c.c., stabilisce che “La trasformazione non libera i soci a responsabilità illimitata dalla responsabilità per le obbligazioni sociali sorte prima degli adempimenti previsti dal terzo comma dell'articolo 2500, se non risulta che i creditori sociali hanno dato il loro consenso alla trasformazione.
Il consenso si presume se i creditori, ai quali la deliberazione di trasformazione sia stata comunicata per raccomandata o con altri mezzi che garantiscano la prova dell'avvenuto ricevimento, non lo hanno espressamente negato nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della comunicazione”.
4.1) La data “spartiacque”
La data presa a riferimento dalla legge per la determinazione delle obbligazioni non coperte dalla responsabilità patrimoniale dei soci, è quella degli adempimenti previsti dal terzo comma dell'articolo 2500.
Come oltre si dirà, tale data corrisponde con l’iscrizione nel Registro delle Imprese della delibera di trasformazione, che suggella la assunzione della personalità giuridica della società di capitali che risulta dalla trasformazione.
Dato che la trasformazione ha efficacia da quel momento, i rapporti giuridici sorti prima della iscrizione della delibera di trasformazione non vengono intaccati dalla stessa.
Pertanto, per essi continuano a valere le regole sulla responsabilità patrimoniale dei soci immanenti al tipo di società che si è trasformata.
Quindi, rimanendo nell’ambito delle società commerciali, per le obbligazioni sociali sorte anteriormente alla iscrizione della delibera di trasformazione:
- se la società che si è trasformata è una società in nome collettivo continuano a rispondere delle obbligazioni sociali illimitatamente e solidalmente tutti i soci;
- se la società che si è trasformata è una società in accomandita semplice, continuano a rispondere delle obbligazioni sociali illimitatamente e solidalmente tutti i soci accomandatari, mentre i soci accomandanti continuano a rispondere limitatamente alla quota conferita.
Delle obbligazioni sociali sorte posteriormente alla data di iscrizione della delibera di trasformazione, invece:
- se la società che risulta dalla trasformazione è una società per azioni o a responsabilità limitata, risponde unicamente la società con il suo patrimonio;
- se la società che risulta dalla trasformazione è una società in accomandita per azioni, risponde la società con il suo patrimonio e, in aggiunta, rispondono illimitatamente e solidalmente anche i soci accomandatari.
4.2) La liberazione dalla responsabilità per le obbligazioni sociali anteriori
Se così stessero le cose, l’istituto della trasformazione progressiva avrebbe uno scarso appeal, dato che i soci sarebbero costretti a mantenere la responsabilità illimitata e solidale delle obbligazioni anteriori alla iscrizione della delibera di trasformazione.
Per ovviare a questo inconveniente il codice civile prevede, per i soci della società di persone che si trasforma, la possibilità di liberarsi di tale responsabilità, facendo di fatto operare gli effetti della trasformazione ex tunc, ossia dalla data della costituzione della società di persone.
Tale effetto, tuttavia, è condizionato al consenso, o quanto meno alla mancata opposizione dei creditori anteriori.
L’art. 2500quinquies, co 1, c.c., dispone infatti in primo luogo che la liberazione è possibile se i creditori sociali anteriori hanno dato il loro consenso alla trasformazione.
Si è qui in presenza di una fictrio juris, perché si pone il consenso alla trasformazione come il consenso alla liberazione della responsabilità per le obbligazioni anteriori, mentre in realtà una tale equivalenza non sussiste e, d’altro canto, un consenso all’operazione di trasformazione di sé e per sé non sarebbe necessario, dato che, come si è visto, una volta eseguita la pubblicità richiesta dalla legge, l’invalidità della trasformazione non può essere più pronunciata.
La legge non richiede una forma particolare per la manifestazione del consenso da parte die creditori: sarà peraltro necessario che si tratti di una forma che permetta ai soggetti interessati (ossia ai soci della società che si trasforma) di provare il suddetto consenso.
La liberazione della responsabilità per le obbligazioni anteriori è possibile ricorrendo anche al consenso tacito dei creditori, consistente nella omessa negazione dello stesso dai creditori a seguito di specifica comunicazione dei soci.
L’art. 2500quinqies co 2, c.c., pone innanzitutto un onere di comunicazione ai creditori, al fine di sollecitare il consenso (o la non opposizione) dei creditori, inviando loro una raccomandata contenente la delibera di trasformazione.
La norma non indica il soggetto che deve inviare la comunicazione.
È da pensare tuttavia che l’onere gravi in primo luogo sulla società, ma che se essa non lo adempia possano provvedervi i soci, i quali hanno tutto l’interesse a che la comunicazione venga inviata e pertanto a loro non può essere negata tale incombenza.
Proprio per l’interesse perseguito, sembra che la società non abbia l’obbligo della comunicazione, posto che la trasformazione, anche se non vi è il consenso dei soci, è comunque efficace (vedi oltre sul punto).
La norma propone che la comunicazione avvenga mediante altri mezzi “che garantiscano la prova dell’avvenuto ricevimento”.
Tale locuzione in primo luogo comporta che per avere efficacia la raccomandata debba essere inviata con avviso di ricevimento: una raccomandata semplice non sarebbe pertanto sufficiente al fine di fare venire meno la responsabilità illimitata ante-trasformazione.
Dall’altro la legge dimostra quella elasticità che era richiesta dalla dottrina, ammettendo anche ulteriori mezzi di comunicazione che diano garanzia del ricevimento.
Mentre in passato la giurisprudenza ammetteva mezzi che dessero una sicurezza della ricezione maggiore rispetto alla raccomandata, ritenendo valida ai fini di cui si discute la comunicazione mediante notifica per mezzo dell’ufficiale giudiziario, ora possono essere ritenuti validi anche mezzi alternativi, come ad esempio la comunicazione via fax.
Per ciò che concerne la comunicazione via e-mail, grande importanza potrebbe assumere l’approvazione dello schema di decreto presidenziale recentemente varato dal Consiglio dei Ministri in materia di posta elettronica certificata.
Esso infatti, all’art. 6, prevede che:
- Il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal mittente fornisce allo stesso la ricevuta di accettazione nella quale sono contenuti i dati di certificazione che costituiscono prova dell’avvenuta spedizione di un messaggio di posta elettronica certificata;
- Il gestore di posta elettronica certificata utilizzato dal destinatario fornisce al mittente la ricevuta di avvenuta consegna all’indirizzo elettronico del mittente;
- La ricevuta di avvenuta consegna fornisce al mittente prova che il suo messaggio di posta elettronica certificata è effettivamente pervenuto all’indirizzo elettronico dichiarato dal destinatario e certifica il momento della consegna tramite un testo, leggibile al mittente, contenente i dati di certificazione;
- Le ricevute rilasciate dai gestori sono sottoscritte dagli stessi con una firma elettronica avanzata.
- Nel caso di mancata consegna il mittente riceve, entro le 24 ore successive all’invio, una ricevuta di mancata consegna.
Nel momento in cui tale provvedimento diverrà legge, si presume che la posta elettronica certificata potrà sostituire la raccomandata con avviso di ricevimento.
Per ciò che concerne il contenuto della comunicazione, la legge stabilisce espressamente che essa deve avere ad oggetto “la deliberazione di trasformazione”: in tal modo viene recepito quello che era l’orientamento già fatto proprio in passato dalla giurisprudenza.
Stante la lettera della legge, non sembra debba essere allegata alla delibera anche la relazione di stima del patrimonio; d’altro canto sembra di poter affermare che la allegazione della perizia di stima non dovrebbe dire ai creditori alcunchè in più di quanto contenuto nella delibera.
Piuttosto sembra necessario, al fine di garantire la certezza nei terzi, che la delibera comunicata sia una copia munita delle sottoscrizioni dei partecipanti e della firma del notaio rogante con gli estremi dell’atto (numero di repertorio e di raccolta).
Stante il tenore letterale della norma, sembra che la comunicazione nei modi prescritti sia l’unico modo per ottenere il consenso tacito, non parendo allo scopo sufficiente che i creditori abbiano avuto conoscenza della trasformazione in modo diverso.
4.3) Il consenso dei creditori successivo alla comunicazione
Una volta ricevuta la comunicazione, i creditori hanno sessanta giorni di tempo per decidere.
La nuova norma ha prolungato il tempo a disposizione dei creditori per decidere (nella versione precedente il termine era di trenta giorni) e ha chiarito che tale termine decorre dalla data di ricezione della comunicazione, e non dalla data di invio della stessa.
In questo lasso di tempo i creditori possono dare il loro consenso espresso alla trasformazione, oppure possono dare il loro diniego espresso alla stessa, anche con forme diverse rispetto a quella con la quale è stata data la comunicazione, purchè, in quest’ultimo caso, il diniego sia dagli stessi provabile (e questo nel loro interesse).
È stato affermato che equivale alla negazione del consenso anche la semplice richiesta di ulteriori chiarimenti da parte del socio cui sia stata effettuata la comunicazione.
I creditori, una volta ricevuta la comunicazioni possono anche non fare alcunchè: peraltro l’inerzia comporta che, al decorrere dei sessanta giorni, il consenso alla trasformazione si presuma da essi dato.
Trattandosi una presunzione, sembra evidente che, se può essere dimostrato che il mancato diniego sia dipeso da forza maggiore, la presunzione viene meno e ciò produce l’effetto di non liberare i soci dalla responsabilità per le obbligazioni anteriori.
In caso di contestazione successiva sulla sussistenza o meno del consenso tacito, spetta ai soci dimostrare l’avvenuta effettuazione della comunicazione.
Decorsi i sessanta giorni dalla comunicazione, e salvo il caso di impossibilità per forza maggiore, il consenso alla trasformazione (e quindi alla liberazione) si presume anche se i creditori sociali obiettino di non aver avuto consapevolezza del fine e degli effetti che la comunicazione intendeva perseguire.
Potrebbe essere che solo alcuni dei creditori prestino il proprio consenso (espresso o tacito): in tal caso la responsabilità illimitata e solidale rimarrà in piedi solo per le obbligazioni riconducibili ai creditori che non hanno prestato il consenso (sempre se, chiaramente, la società non adempia alla propria obbligazione nei confronti di questi ultimi).
Nonostante la lettera della norma sembri porre l’alternativa tra consenso pieno alla trasformazione e diniego dello stesso, parte della dottrina ritiene che il creditore possa anche liberare i soci solo per alcuni crediti e non per altri o solo per parte del proprio credito, mentre generalmente si esclude che possano essere liberati dalla responsabilità solo alcuni soci e non altri.
Si precisa che la norma sul consenso dei creditori non vale per i crediti fiscali vantati dall’erario e per i crediti vantati da altri enti pubblici per obbligazioni derivanti da norme di legge.
Si è affermato infatti che la norma “non trova applicazione per i crediti contributivi previdenziali, i quali, nascendo da un rapporto disciplinato dal regime di previdenza sociale, non diversamente dalle altre forme di finanziamento delle prestazioni di assistenza sociale, per il comune carattere pubblico ed obbligatorio dei rispettivi regimi correlati a finalità di ordine costituzionale (art. 38 Cost.), hanno natura inderogabile e sono perciò indisponibili”, e che essa “non può trovare applicazione nei confronti dell'amministrazione, con riguardo a crediti tributari, in considerazione dell'indisponibilità dei medesimi”.
4.4) La liberazione dalla responsabilità e il fallimento successivo della società
La giurisprudenza si è occupata della possibilità che la società oggetto della trasformazione fallisca e delle conseguenze che tale fatto può avere sui soci della stessa.
Per ciò che concerne, in particolare, i soci che non sono stati liberati dalle obbligazioni sociali anteriori alla trasformazione, essi sono coinvolti nell’eventuale fallimento della società e dichiarati falliti essi stessi ai sensi dell’art. 147, L.F., sempre se l’insolvenza della società stessa risalga ad epoca anteriore alla trasformazione e nei limiti delle obbligazioni anteriori alla trasformazione medesima, in quanto la trasformazione non comporta la cessazione di una società e la nascita di un’altra, ma la continuazione dell’identità soggettiva dell’ente.
In tale caso il fallimento dei soci può essere dichiarato indipendentemente dal fatto che essi siano imprenditori o meno, indipendentemente dal fatto che essi siano insolventi o meno, e indipendentemente dal fatto che sia trascorso l’anno dalla trasformazione o meno (come invece richiederebbe l’art. 10, L.F., per le ipotesi di società cessate).
La Corte Costituzionale ha invece affrontato il caso del fallimento della società trasformata in cui i soci abbiano ottenuto il consenso, espresso o tacito, alla trasformazione, e siano pertanto divenuti limitatamente responsabili anche per le obbligazioni anteriori.
A tal fine la Corte Costituzionale ha affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 147, L.F. (che estende il fallimento delle società anche ai soci illimitatamente responsabili) “nella parte in cui prevede che il fallimento dei soci a responsabilità illimitata di società fallita possa essere dichiarato dopo il decorso di un anno dal momento in cui essi abbiano perso, per qualsiasi causa, la responsabilità illimitata”.
Ne consegue che, se la società viene dichiarata fallita successivamente alla trasformazione, i soci che abbiano perso la responsabilità illimitata possono comunque essere dichiarati falliti ai sensi dell’art. 147, L.F. (e rispondere delle obbligazioni sociali anteriori), ma ciò può avvenire solo se il loro fallimento personale viene dichiarato entro un anno da quando essi hanno perso la responsabilità illimitata.
Tale massima dovrebbe valere nel caso in cui l’insolvenza risalga a prima della trasformazione: se l’insolvenza dovesse essere successiva, la limitazione della responsabilità dovrebbe valere pienamente e non dovrebbe essere possibile l’estensione del fallimento ai soci, neppure se deve ancora decorrere l’anno di cui all’art. 10, L.F.
Trasformazione di società di capitali in società di persone
Il legislatore ha voluto riservare una particolare tutela dei terzi che vengono in contatto con la società: viene detto che i soci che con la trasformazione assumono responsabilità illimitata, rispondono illimitatamente anche per le obbligazioni sociali anteriori alla data di efficacia della trasformazione (art. 2500-sexies del Codice civile).
La decisione avviene mediante delibera dei soci riuniti in assemblea straordinaria (per le SRL, se l’atto costitutivo non prevede l’assemblea straordinaria, con le forme e i modi propri dell’assemblea straordinaria) la quale, salva diversa previsione statutaria, viene adottata a maggioranza. E’ però richiesto in consenso, e quindi l’unanimità, dei soci che con la trasformazione vengono a assumere la responsabilità illimitata.
L’art. 2437 del Codice civile (per le società per azioni o in accomandita per azioni) e l’art. 2473 del Codice civile (per le società a responsabilità limitata), prevedono il diritto di recesso per il socio che non ha concorso (o non ha consentito, nel caso della società a responsabilità limitata) alla deliberazione riguardante il cambiamento del tipo di società. E’ quindi legittimato chi abbia votato a sfavore di una delibera, chi non vi abbia partecipato, chi comunque non abbia concorso a formare la maggioranza, astenendosi dalla votazione.
Recesso
Secondo quanto stabilito dall’art. 2437bis, c.c., il diritto di recesso deve essere esercitato mediante lettera raccomandata che deve essere spedita alla società entro quindici giorni dall'iscrizione nel registro delle imprese della delibera di trasformazione, con l'indicazione delle generalità del socio recedente, del domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, del numero e della categoria delle azioni per le quali il diritto di recesso viene esercitato.
Si evidenzia come il socio possa recedere dalla società anche solo per una parte delle azioni che esso detiene, in quanto si è ritenuto coerente pensare che lo stesso, vedendo mutato il quadro della situazione, intenda solo rischiare di meno nella società, e non andarsene definitivamente.
Le azioni per le quali è esercitato il diritto di recesso non possono essere cedute e devono essere depositate presso la sede sociale.
Il recesso non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se, entro novanta giorni, la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società.
Per ciò che concerne la liquidazione della quota del socio recedente, l’art. 2437ter, c.c., afferma che il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione contabile, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato delle azioni, facendo riferimento:
- Al valore risultante da una situazione patrimoniale aggiornata della società che tenga conto della sua consistenza patrimoniale e delle sue prospettive reddituali;
- All’eventuale valore di mercato delle azioni;
- Ai diversi criteri di determinazione del valore di liquidazione eventualmente specificati nello statuto, ove possono quindi essere indicati gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché agli altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione.
In caso di contestazione da proporre contestualmente alla dichiarazione di recesso il valore di liquidazione è determinato entro novanta giorni dall'esercizio del diritto di recesso tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente.
Per ciò che concerne le società a responsabilità limitata, l’art. 2473, c.c., stabilisce che soci che recedono dalla società hanno diritto di ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale.
Esso a tal fine è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso; in caso di disaccordo la determinazione è compiuta tramite relazione giurata di un esperto nominato dal tribunale, che provvede anche sulle spese, su istanza della parte più diligente.
Il rimborso delle partecipazioni per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro centottanta giorni dalla comunicazione del medesimo fatta alla società.
Trasformazione nell’ambito della stessa tipologia societaria (società di persone in società di persone – società di capitali in società di capitali)
Al contrario della trasformazione progressiva e di quella regressiva, la trasformazione nell’ambito della stessa tipologia di forma societaria non viene considerata nel Codice civile. Il trattamento da riservare va pertanto ricostruito sulla base delle norme espressamente previste per gli altri tipi di trasformazione e sulla base delle norme generali che regolano il funzionamento delle società.