NOTE DI VARIAZIONE IVA IN CASO DI FALLIMENTO E PROCEDURE CONCORSUALI
ARTICOLO - Pubblicato il: 14 febbraio 2017- Da: E. Iori
La finanziaria per il 2017 (art. 1 co. 567 della Legge 232/2016) ha modificato l’art. 26, DPR n. 633/72 relativamente all’emissione delle note di variazione in caso di mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali / accordi di ristrutturazione dei debiti omologati / piani attestati pubblicati sul Registro delle Imprese.
ELIMINAZIONI
In particolare, per effetto dell’abrogazione dei commi 4, 6 e 11 e del secondo periodo del comma 5, dell’art. 26 del Dpr 633/1972 (introdotti dalla Finanziaria 2016 con effetto dal 1 gennaio 2017), la disciplina delle note di variazione nell’ambito di procedure concorsuali viene ricondotta alla disciplina contenuta nel comma 2 dello stesso articolo, con la conseguenza che non è più previsto:
- la possibilità di emissione della nota di varaizione a partire dalla data in cui l’acquirente / committente è assoggettato alla procedura; di conseguenza la nota di variazione potrà essere emessa soltanto alla chiusura della procedura;
- l’esonero, per l’acquirente / committente, di registrazione della nota di credito ricevuta.
Di fatto, le disposizioni “di favore” previste dalla Finanziaria 2016 non troveranno applicazione, posto che le stesse dovevano entrare in vigore dalle procedure concorsuali aperte dal 2017.
MOMENTO DELL’EMISSIONE DELLA NOTA DI ACCREDITO
Con il nuovo testo dell’art. 26 non si comprende quando, in presenza di una procedura, sia possibile emettere la nota di accredito.
Rifacendosi alla prassi precedente dell’agenzia delle Entrate (circolare n. 77/E/2000), implicitamente avvallata dalla Corte di cassazione (sentenza n. 27136/2011), si ha:
- in caso di fallimento: la rettifica opera solo quando la procedura si è rivelata infruttuosa («per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo») e, quindi, sostanzialmente al termine della medesima.
- in caso di concordato: l’infruttuosità, nel concordato preventivo, si manifesterebbe avendo riguardo non solo «alla sentenza di omologazione (art. 181) divenuta definitiva», ma anche «al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato». In tal senso anche la risp. n. 37 a Telefisco 2017. Tale interpretazione, oltre che scarsamente condivisibile, si manifesta incompatibile con l’evoluzione della norma. Questo slittamento in avanti della possibilità di recuperare l’imposta sul valore aggiunto si presenta tanto più ingiustificato oggi, dopo che, con l’art. 31 del decreto legislativo n. 175/2014, è stato consentito il recupero immediato (circolare n. 31/E/2014) in caso di piani attestati o accordi di ristrutturazione, che sulla definitività della perdita in nulla differiscono dal concordato preventivo.
- in caso di piani attestati o accordi di ristrutturazione: l’art. 31 del Dlgs n. 175/2014, modificando (allora) l’art. 26, co. 2 del Tuir, ne ha previsto il recupero immediato (in tal senso anche lacircolare n. 31/E/2014)
- in caso di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: Con la modifica scompare, nel nuovo testo normativo, dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, precedentemente prevista al comma 11 ora abrogato. Con la conseguenza che potrebbe tornare d’attualità la presa di posizione dell’agenzia delle Entrate, secondo cui in presenza di tale procedura non sarebbe consentito il recupero dell’imposta sul valore aggiunto sui crediti insoluti, per carenza dei presupposti di cui all’art. 26 (si veda a questo proposito la circolare n. 77/2000). Ed anche in questo caso, non può non emergere la discrasia con le imposte sui redditi, in cui il decreto che dispone la procedura permette la deduzione della perdita (art. 101, comma 5, Tuir).
EFFETTI SULLE PROCEDURE
L’eliminazione dell’inciso (anch’esso inserito dalla l. n. 208/2015) secondo cui l’obbligo di liquidare a debito la nota di accredito ricevuta non sarebbe applicabile alle procedure concorsuali, potrebbe essere interpretata che, da ora in poi, il passivo fallimentare debba includere anche l’Iva di questi documenti, a svantaggio di tutti i creditori meno privilegiati.
Che non porta a tale conclusione il fatto che:
- i documenti potranno essere emessi solo ad uno stadio in cui la procedura è giunta al termine,
- dovrebbe essere confermata l’irrilevanza affermata in passato dall’agenzia delle Entrate (risoluzioni n. 155/E/2001 e n. 161/E/2001).
In tal senso la risp. n. 36 a Telefisco 2017secondo al quale “Gli organi della procedura sono tenuti ad annotare nel registro Iva la corrispondente variazione in aumento; tale adempimento, tuttavia, non determina l'inclusione del relativo credito IVA vantato dall’Amministrazione nel riparto finale, ormai definitivo, ma consente di evidenziare il credito eventualmente esigibile nei confronti del fallito tornato in bonis. Per quanto sopra, non sussistendo il debito a carico della procedura, il curatore fallimentare non è tenuto ad ulteriori adempimenti (cfr. ris. n. 155 del 2001)”.