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AFFITTO D'AZIENDA, AMMORTAMENTI

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ARTICOLO - Pubblicato il: 24 febbraio 2017- Da: G. Manzana E. Iori

 

Il contratto d’affitto d’azienda è regolato dagli articoli 2561 e 2562 del codice civile. L’articolo 2561 disciplina la fattispecie dell’usufrutto d’azienda, mentre il successivo articolo 2562 stabilisce che le norme relative all’usufrutto d’azienda “si applicano anche nel caso di affitto dell’azienda”.

Dal combinato disposto degli articoli sopra citati, si rileva che l’affittuario d’azienda “deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti” (articolo 2561, comma 2).

Obbligo di conservazione dell’azienda e deducibilità degli ammortamenti

Il comma 8 dell’art. 102 T.U.I.R. dispone che “Per le aziende date in affitto o in usufrutto le quote di ammortamento sono deducibili nella determinazione del reddito dell’affittuario o dell’usufruttuario. omissis” ( ).

Tale particolare procedura di ammortamento si rende applicabile quando permangono a carico dell’usufruttuario e dell’affittuario gli obblighi di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili relativi all’azienda avuta in usufrutto o in locazione previsti dal comma 2 dell’art. 2561 cod. civ. per l’usufrutto di azienda (articolo richiamato dal successivo art. 2562 cod. civ. sull’affitto d’azienda). La precisazione era contenuta nel comma 2 dell’art. 14 del d.P.R. n. 42/1988 ed il “Decreto correttivo” (D.Lgs. n. 247/2005) ha provveduto ad integrare l’art. 102, comma 8 del T.U.I.R. al fine di recepire il contenuto di tale norma.

Al riguardo, la circolare n. 148/E del 26 luglio 2000 ha precisato che sotto il profilo fiscale dette quote, ancorché normativamente riferite all’ammortamento fiscale, non assolvono alla funzione economica, tipica del processo di ammortamento, di distribuire un costo pluriennale in diversi esercizi nel rispetto del principio di competenza, ma costituiscono accantonamenti (da stanziare, come detto, nella voce B13 del conto economico) atti alla creazione di un apposito fondo (da iscrivere alla voce B3 dello stato patrimoniale) destinato al ripristino di valore dei beni affittati.

Qualora le parti, dunque, convenissero per iscritto nel contratto di affitto di derogare all’obbligo civilistico, l’affittuario non può più procedere alla deduzione di tali quote di ammortamento dal proprio reddito d’impresa.

In tal caso, tuttavia, resta da stabilire se il proprietario dell’azienda possa fiscalmente dedurre egli stesso dal proprio reddito tali quote di ammortamento atteso che la deducibilità delle quote di ammortamento presuppone la presenza di un reddito d’impresa .

A tale proposito, si rileva che l’art. 67, comma unico, lett. h), considera redditi diversi quelli derivanti dall’affitto e dalla concessione in usufrutto di aziende. Pertanto, dal reddito che deriva dall’operazione non dovrebbe essere consentita la deducibilità di ammortamenti. Tuttavia, la citata lett. h) prosegue puntualizzando che l’affitto e la concessione in usufrutto dell’unica azienda da parte dell’imprenditore non si considerano fatti nell’esercizio di impresa. Ne deriva quindi che dal disposto di tali norme possa ricavarsi la seguente situazione:

- in caso di affitto dell’unica azienda l’imprenditore «perde» tale qualifica ai fini fiscali e, pertanto, il reddito che ne deriva è «reddito diverso» per il quale non è consentita la deducibilità di quote di ammortamento neppure in presenza di deroga all’obbligo di cui all’art. 2561, comma 2, cod. civ.;

- in caso di affitto di aziende nell’esercizio di imprese ed in presenza di deroga convenzionale alle norme dell’art. 2561 cod. civ., dal reddito d’impresa del concedente - alla cui determinazione concorre anche il canone proveniente dall’affitto o dall’usufrutto di azienda - possono dedursi le quote di ammortamento dei beni ammortizzabili relativi all’impresa la cui efficienza deve essere conservata a cura del concedente. Tale conclusione, peraltro, è stata raggiunta anche da parte di autorevole dottrina laddove viene affermato che in tal caso “le relative quote annue saranno deducibili nella determinazione del reddito d’impresa del concedente”.

Tale deducibilità non può invece essere messa in dubbio qualora il concedente sia una società commerciale il cui reddito, per presunzione assoluta, è sempre reddito d’impresa.

L’affittuario può procedere alla deduzione dal proprio reddito d’impresa anche delle quote di ammortamento dei beni immateriali per il rinvio contenuto nel comma 4 dell’art. 103 T.U.I.R..

Il parametro di commisurazione è il costo originario dei beni quale risulta dalla contabilità del concedente.

Secondo taluni, per contro, la circostanza che la norma faccia specifico riferimento al costo “originario” comporterebbe l’irrilevanza, ai fini del calcolo degli ammortamenti da parte dell’affittuario, di eventuali rivalutazioni operate dal concedente. Ma è opinione più convincente che la locuzione usata dal legislatore stia ad indicare più semplicemente la “provenienza” del costo de quo.

A tale parametro si applicano i coefficienti tabellari stabiliti con Decreto Ministeriale in relazione all’attività esercitata dall’affittuario.

Allo stato attuale della legislazione fiscale, l’affittuario ha l’obbligo di tenere il registro dei beni ammortizzabili e di compilarlo ricavando inizialmente i dati necessari dall’analogo registro tenuto dal concedente o, comunque, dalle risultanze contabili dello stesso.

Ai sensi dell’art. 14, comma 1, del D.P.R. n. 42/1988, se il concedente non ha regolarmente tenuto il registro dei beni ammortizzabili ed essendo a ciò obbligato perché in regime di contabilità ordinaria (o, se forfetario, per poter dedurre le quote di ammortamento ai sensi del comma 9, lett. c) dell’art. 2 del D.L. n. 853/84) l’affittuario, nel calcolare le proprie quote di ammortamento deducibili dovrà considerare come già dedotte dal concedente la metà delle pregresse quote relative al periodo di ammortamento già decorso.

Non si può ritenere che la disposizione che prevede tale vincolo possa trasformarsi da norma penalizzante in norma di favore nel caso in cui il concedente abbia dedotto a titolo di ammortamento un importo superiore alla quota che il legislatore ha voluto considerare comunque persa per il concessionario.

Infatti, la disposizione sopra riportata impone un limite non superabile nella deduzione delle quote di ammortamento che è rappresentato dal costo non ancora ammortizzato del bene ed oltre il quale, evidentemente, neppure il concessionario può procedere nella deduzione.

Una questione di particolare rilievo, nell’ambito delle obbligazioni contrattuali relative ad un contratto di affitto di azienda, attiene:

-           in primo luogo, all’individuazione delle spese di manutenzione che pertengono al soggetto affittuario in virtù del disposto di cui all’art. 2561 del Codice civile che pone a carico di tale soggetto l’obbligo di conservare “l’efficienza dell’organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte”;

-           in secondo luogo, all’individuazione delle spese di manutenzione che pertengono al soggetto affittante in presenza di deroga contrattuale al menzionato art. 2561 del Codice civile.

La normativa civilistica contempla l’affitto di azienda all’art. 2562 del Codice civile prevedendo l’estensione a tale fattispecie del disposto di cui al precedente art. 2561 cod. civ. in materia di usufrutto di azienda, in virtù del quale “L’usufruttuario dell’azienda deve esercitarla sotto la ditta che la contraddistingue. Egli deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione e in modo da conservare l’efficienza dell’organizzazione degli impianti e le normali dotazioni di scorte. Se non adempie a tale obbligo o cessa arbitrariamente dalla gestione dell’azienda, si applica l’art. 1015. La differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e al termine dell’usufrutto è regolata in danaro, sulla base dei valori correnti al termine dell’usufrutto”.

Il soggetto affittuario, in buona sostanza, ha il potere-dovere di utilizzare l’azienda per l’esercizio dell’impresa, conservando immutata la sua destinazione economica e conservando altresì l’avviamento e il valore unitario della stessa in vista della restituzione al proprietario. Proprio al fine della conservazione dell’avviamento lo stesso ha il potere e l’obbligo di trasformare, alienare e ricostituire le scorte di materie prime nonché di sostituire gli impianti non più efficienti o tecnicamente superati e, in linea generale, tutti gli elementi aziendali la cui sostituzione è in linea con la prospettiva di conservazione dell’azienda.

In altre parole ciò significa che, in base al regime di cui all’art. 2561 cod. civ., risultano a carico del soggetto affittuario tutte le spese di manutenzione di natura ordinaria nonché quelle di natura straordinaria limitatamente però agli interventi di natura meramente conservativa della efficienza dell’azienda oggetto di contratto.

Ed é per ciò - come precisato sopra - che il legislatore fiscale, in apparente coerenza con tale impostazione ha previsto, con l’art. 102, comma 8 del T.U.I.R. che “Per le aziende date in affitto o in usufrutto le quote di ammortamento sono deducibili nella determinazione del reddito dell’affittuario o dell’usufruttuario” ed a complemento di ciò ha ulteriormente previsto che “Le disposizioni del Testo unico ............. non si applicano nei casi di deroga convenzionale alle norme dell’art. 2561 del Codice civile, concernenti l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni ammortizzabili”.

In buona sostanza, in base al citato art. 102, comma 8 T.U.I.R. è il soggetto affittuario che - esercitando l’impresa per il tramite dell’azienda oggetto di affitto e sopportando gli oneri per il mantenimento della stessa in efficienza - ha il diritto di dedurre dal proprio reddito le quote di ammortamento dei relativi beni ammortizzabili. Tale meccanismo non trova peraltro applicazione nel caso in cui le parti, in deroga al citato art. 2561, comma 2 cod. civ., pongano a carico del proprietario l’obbligo di conservazione dell’efficienza dei beni facenti parte dell’azienda.

In tale ultima ipotesi, è pertanto quest’ultimo a doversi preoccupare delle spese di mantenimento di cui sopra, potendo peraltro continuare sia ai fini civilistici sia ai fini fiscali il normale procedimento di ammortamento dei beni locati (rectius, utilizzati dall’affittuario dell’azienda).

In mancanza di deroga la deducibilità degli accantonamenti ai fini Irap

A seguito delle modifiche apportate dall’articolo 1, comma 50, lettera a), della legge n. 244/2007 (finanziaria per il 2008) all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 446 del 1997, gli accantonamenti ai fondi indicati nelle voci B12 e B13 del conto economico, ancorché deducibili ai fini Ires, non possono più concorrere a formare la base imponibile del tributo regionale.

Tuttavia, secondo la cir. 26/E del 2012 un’applicazione rigida di tale principio potrebbe comportare l’impossibilità di dedurre i predetti oneri in quanto, ad esempio, la società affittuaria, in sede di restituzione dell’unica azienda condotta in affitto, presumibilmente non dispone di un valore della produzione imponibile ai fini Irap così capiente da assorbire il componente negativo correlato all’utilizzo del fondo.

Al riguardo, la circolare osserva che l’accantonamento che viene stanziato annualmente in bilancio ha la funzione economica di contrapporre ai ricavi conseguiti nell’esercizio (derivanti dall’utilizzo dei beni aziendali affittati) l’onere relativo al ripristino di valore dei beni affittati maturato nel periodo stesso.

Assume inoltre fondamentale rilevanza la peculiarità di detti accantonamenti che sono effettuati a fronte di oneri sostenuti al momento della restituzione dell’azienda affittata. Tali accantonamenti, così come previsto dai principi contabili, devono essere effettuati “sulla base di elementi oggettivi e valida documentazione”, al fine di ripristinare i beni allo stato in cui devono essere restituiti al termine dell’affitto d’azienda (cfr. principio contabile OIC n. 19, paragrafo C.V.d.).

La determinazione degli accantonamenti risulta senz’altro sottratta alla discrezionalità degli amministratori laddove, ad esempio, le quote da accantonare siano stanziate sulla base delle aliquote di ammortamento previste dal decreto ministeriale 31 dicembre 1988.

In tal caso, pertanto la cir. 26/E del 2012 ritiene che tali oneri, rispondendo ad adempimenti specificamente e dettagliatamente previsti nei principi contabili e sfuggendo alla valutazione soggettiva degli amministratori, concorrono alla formazione del valore della produzione nell'esercizio di competenza. Di conseguenza fli accantonamenti in argomento, sebbene indicati in una voce non rilevanete ai fini IRAP, sono deducibili in ciascun periodo d'imposta attraverso l'effettuazione di una variazione in diminuzione in sede di dichiarazione.

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