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RECUPERO DELL'IVA PER I CREDITI VERSO FALLIMENTI

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ARTICOLO - Pubblicato il: 7 settembre 2018 - Da: G. Manzana E. Iori

 

La finanziaria per il 2017 (art. 1 co. 567 della Legge 232 del 2016) ha modificato l’art. 26, Dpr n. 633/72 relativamente all’emissione delle note di variazione in caso di mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali / accordi di ristrutturazione dei debiti omologati / piani attestati pubblicati sul Registro delle Imprese con la conseguenza che:

- in caso di fallimento e concordati: la rettifica opera solo al termine della procedura;

- in caso di piani attestati o accordi di ristrutturazione: al momento dell’apertura della procedura (rimanendo a carico dell’impresa debitrice la contestuale rilevazione del debito d’imposta verso l’erario);

- in caso di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: potrebbe essere che il recupero non è più consentito.

Per effetto dell’abrogazione dei commi 4, 6 e 11 e del secondo periodo del comma 5, dell’art. 26 del Dpr 633/1972 (introdotti dalla Finanziaria 2016 con effetto dal 1 gennaio 2017), la disciplina delle note di variazione nell’ambito di procedure concorsuali viene ricondotta alla disciplina contenuta nel comma 2 dello stesso articolo, con la conseguenza che non è più previsto:

- la possibilità di emissione della nota di variazione a partire dalla data in cui l’acquirente / committente è assoggettato alla procedura; di conseguenza la nota di variazione potrà essere emessa soltanto alla chiusura della procedura;

- l’esonero, per l’acquirente / committente, di registrazione della nota di credito ricevuta.

Di fatto, le disposizioni “di favore” previste dalla Finanziaria 2016 non hanno mai trovato applicazione, posto che le stesse dovevano entrare in vigore dalle procedure concorsuali aperte dal 2017.

Con l’art. 26 del Dpr 633/1972 diventa difficile comprende quando, in presenza di una procedura, sia possibile emettere la nota di accredito. Rifacendosi alla prassi precedente dell’agenzia delle Entrate (Cir. n. 77/E del 2000), implicitamente avvallata dalla Corte di cassazione (sentenza n. 27136 del 2011), si ha:

- in caso di fallimento: la rettifica opera solo quando la procedura si è rivelata infruttuosa («per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo») e, quindi, sostanzialmente al termine della medesima. Il che, in caso di fallimento, si verifica una volta scaduto il termine per le osservazioni al piano di riparto o per il reclamo al decreto di chiusura, se manca il piano di riparto. In tal senso anche la Cir. 7/E/2017.

Non essendo collegata solo alla situazione oggettiva del debitore (certificata dall’avvio della procedura), l’emissione della nota di credito dovrebbe inoltre continuare a essere subordinata alla previa insinuazione allo stato passivo, come previsto dalla risoluzione 195/E/2008. Dovendo registrare i predetti documenti scatta di conseguenza anche l’obbligo di indicare le predette operazioni nella dichiarazione Iva.

Da tempo la dottrina lamenta l'eccessiva rigidità di questa interpretazione (in tal senso Norma di comportamento Aidc 192/2015 e circolare Assonime 5/2016), non solo per la contrarietà al principio di neutralità del tributo, ma per l'irragionevolezza di un sistema tributario che, a secondo del comparto impositivo, considera in modo diverso la medesima situazione. Infatti, l'articolo 101, comma 5, del Tuir prevede, ai fini della deducibilità della perdita sui crediti, che costituisca «in ogni caso» elemento «certo e preciso» l'assoggettamento a procedure concorsuali, specificando che ciò si verifica, nel caso specifico, dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento. Da tale momento, pertanto, l'impresa è legittimata a considerare non più recuperabile il credito in ambito reddituale, mentre per l'Iva relativa non risulterebbe verificata quella situazione di infruttuosità tale da giustificare l'emissione della nota di accredito.

La norma dettata dall’art. 26 del Dpr 633/1972 peraltro manifesta problemi di compatibilità con i principi della disciplina unionale (Cfr. Corte Ue con sentenza del 23 novembre 2017 - C-246/16) secondo cui uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile Iva all'infruttuosità di una procedura concorsuale quando tale procedura può durare anche più di dieci anni.

- in caso di concordato: l’infruttuosità, nel concordato preventivo, si manifesterebbe avendo riguardo non solo «alla sentenza di omologazione (art. 181) divenuta definitiva», ma anche «al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato». In tal senso anche la risp. n. 37 a Telefisco 2017 (poi Cir. 7/E/2017). Tale interpretazione, oltre che scarsamente condivisibile, si manifesta incompatibile con l’evoluzione della norma. Questo slittamento in avanti della possibilità di recuperare l’imposta sul valore aggiunto si presenta tanto più ingiustificato oggi, dopo che, con l’art. 31 del decreto legislativo n. 175/2014, è stato consentito il recupero immediato (circolare n. 31/E/2014) in caso di piani attestati o accordi di ristrutturazione, che sulla definitività della perdita in nulla differiscono dal concordato preventivo.

Tempi destinati a dilatarsi ulteriormente nel caso in cui il concordato sfoci in fallimento, dato che, in tale ipotesi, occorre rispettare la tempistica prevista per tale procedura. Anche per il concordato preventivo, comunque, la ricezione delle note di credito non dovrebbe comportare il versamento dell’imposta, stante l’effetto estintivo della procedura (risoluzione 161/E/2001).

- in caso di piani attestati o accordi di ristrutturazione: l’art. 31 del Dlgs n. 175/2014, modificando (allora) l’art. 26, co. 2 del Tuir, ne ha previsto il recupero immediato (in tal senso anche la circolare n. 31/E/2014). Telefisco 2017 e la circolare 7/E/2017 non si occupano né di piani attestati né di accordi di ristrutturazione del debito. Pertanto, ferma restando la possibilità di emettere la nota in diminuzione fin dal momento d’apertura della procedura (ossia alla pubblicazione del piano al registro imprese o all’omologa dell’accordo), rimane a carico dell’impresa debitrice la contestuale rilevazione del debito d’imposta verso l’erario.

- in caso di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: scompare, nel testo normativo, dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, precedentemente prevista al comma 11 ora abrogato. Con la conseguenza che potrebbe tornare d’attualità la presa di posizione dell’agenzia delle Entrate, secondo cui in presenza di tale procedura non sarebbe consentito il recupero dell’imposta sul valore aggiunto sui crediti insoluti, per carenza dei presupposti di cui all’art. 26 (si veda a questo proposito la circolare n. 77/2000). Ed anche in questo caso, non può non emergere la discrasia con le imposte sui redditi, in cui il decreto che dispone la procedura permette la deduzione della perdita (art. 101, comma 5, Tuir).

Ne deriva, come evidenziato anche da Assonime (circolare 1/2017), la necessità di chiarire se ciò determini l’esclusione di tale procedura dal novero di quelle che consentono l’emissione della nota d’accredito, come stabilito dalla la circolare 77/E/2000. Aderendo invece alla tesi che ammette la variazione in diminuzione anche per tali procedure, resta da capire quale sia il momento a partire dal quale è possibile procedere al recupero dell’imposta. Vista la tendenziale uniformità di scopi con accordi di ristrutturazione e piani attestati, potrebbe valere il momento in cui si apre la procedura.

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